“Colpi di testa” nello sport: il problema delle concussion
Il numero di atleti che dopo il ritiro accusano problemi legati ai contatti noti come concussion sono moltissimi, così come gli studi che ne dimostrano la pericolosità. Vediamo quindi di cosa si tratta, e le conseguenze.
Concussion nello sport, perché è un problema
Lo sport sta cambiando, a una velocità davvero altissima, e il problema delle concussion nello sport, in questo cambiamento, ha un ruolo purtroppo per nulla secondario. I rischi di quella che, in termini medici, è chiamata commozione cerebrale sono infatti sempre più alti, in gran parte delle discipline sportive più amate dagli appassionati.
La commozione cerebrale è una lesione traumatica del cervello, che avviene a seguito di un colpo inferto alla testa. Le conseguenze di questa lesione vedono il cervello, e questo è il punto più importante, operare un cambiamento funzionale nella sua struttura operativa. Non muta, dunque, la struttura cerebrale ma, in caso di colpi molto forti, il cervello resta in qualche modo ferito, come una cicatrice rimane sulla pelle dopo un taglio più profondo.
Proprio come una ferita, questi colpi, se isolati e gestiti in tempo e attraverso un protocollo medico specifico, possono essere trattati senza lasciare effetti a lungo termine. Diversamente, invece, quando diventano costanti e, peraltro, nemmeno vengono seguiti dal punto di vista medico, possono trasformarsi in malattie a lungo termine, che intaccano la funzionalità complessiva del cervello. I sintomi evidenti ed immediati di una commozione cerebrale sono molto chiari, fra questi troviamo la perdita di coscienza, il chiaro disorientamento, le difficoltà nel deambulare e nel coordinarsi.Negli anni Novanta, soprattutto nel rugby e nel pugilato, venivano classificate come commozioni cerebrali soltanto i colpi che portavano a uno svenimento, oppure (o in concomitanza) a una perdita di memoria. Oggi, invece, i criteri sono quasi trenta e includono sintomi che ancora sino a pochi anni fa non erano minimamente considerati, come irritabilità, nausea, incapacità di concentrazione e alterazioni della frequenza cardiaca.
Per quanto la discussione nel mondo delle attività sportive non sia ancora arrivata al livello di profondità che sarebbe necessario per arginare in maniera definitiva il problema, perlomeno si sta cominciando a parlare di un fenomeno che, già adesso, e in modo più importante in un futuro non così lontano, ha e potrebbe avere un impatto enorme sulle vite degli atleti professionisti.
Modifiche alle regole, investimenti nella ricerca, attenzione all’utilizzo di tecnologia all’avanguardia, progettata per limitare le proporzioni dei traumi cranici, sono tutti elementi cruciali di un discorso che deve diventare sempre più prioritario fra tutte le federazioni sportive.
Troppo a lungo infatti le concussion nello sport sono state sottovalutate, nascondendo le evidenti correlazioni tra i colpi alla testa subiti dagli atleti e le lesioni cerebrali a lungo termine, ormai ampiamente riconosciute da decine di studi.
Sono gli sportivi (i più interessati dalla questione, visto che si tratta della loro salute) ad aver squarciato il velo di omertà dietro agli effetti delle concussion, e proprio loro possono avere un ruolo decisivo non solo per risolvere il problema, ma anche per trasformare le discipline nelle quali gli atleti restano più esposti a possibili traumi cerebrali.
Il pericolo di sottovalutare una concussion
È necessario destinare maggiori risorse alla ricerca, per approfondire in maniera ancora più dettagliata in che modo le malattie cerebrali, come ad esempio l’encefalopatia traumatica cronica, si sviluppano a partire da eventi violenti accidentali durante l’attività sportiva.
Inoltre, gli scienziati stanno cercando un modo per sviluppare una sorta di esame del sangue del cervello, un test che permetta una scansione cerebrale in grado di certificare la presenza di una commozione cerebrale: ci si aspetta di raggiungere questo risultato nel giro di alcuni anni.
Il problema principale delle concussion nello sport è infatti quello di evitarle, ma anche di riconoscerle, visto che il cervello è un organo molto vulnerabile e delicato, che si danneggia con facilità. Purtroppo i colpi possono arrecare dei danni la cui profondità, a volte, non è verificabile fino al momento dell’ autopsia e sfortunatamente sono già diversi i casi tragici di atleti che sviluppano malattie cerebrali appena dopo il ritiro, malattie che li portano al decesso.
Numerosi articoli scientifici hanno trovato una correlazione tra molteplici traumi cerebrali e una maggiore possibilità di deterioramento cognitivo, aumentando il rischio ansia ed epilessia, ma anche di contrarre malattie come la demenza senile, il morbo di Parkinson e la SLA. L’esempio più noto di un atleta che, a causa dei colpi, ha dovuto combattere con una malattia cerebrale è il più grande pugile di tutti i tempi, Muhammad Ali.
Per questo motivo, insomma, sport come la boxe, il rugby, l’hockey su ghiaccio e persino il calcio (si sta pensando di limitare i colpi di testa) devono rinnovarsi, trovando nuove regole e protocolli che salvaguardino l’incolumità degli atleti senza se e senza ma.