Episodi di razzismo negli stadi italiani: le nuove norme

Nel tentativo di arginare il fenomeno del razzismo negli stadi, governo e istituzioni sportive hanno lanciato un’iniziativa contro la discriminazione. Si tratta di un passaggio importante: vediamo quali sono gli impegni presi.

L’impegno di Federcalcio e istituzioni

Nessuna maglia con numeri che abbiano riferimenti politici o discriminatori (ad esempio niente 88, che ha radici fasciste), allerta altissima su bandiere, striscioni e simbologie che richiamino all’odio contro gli ebrei, il nazismo e il fascismo. Si tratta di due delle misure auspicate dal protocollo messo a punto dal ministero dello Sport di concerto con la Federazione Italiana Gioco Calcio, un tentativo di frenare un fenomeno inaccettabile, quello del razzismo, che è sempre più pesante negli stadi italiani.

Il documento approntato prende il nome di “Dichiarazione d’intenti per la lotta contro l’antisemitismo nel calcio” ed è stato immaginato come un meccanismo attraverso il quale tutti i diversi protagonisti del calcio italiano prendano un impegni diretto della lotta alla discriminazione. Fra le tante misure, che vedremo ora in dettaglio, si parla anche, in maniera generica di lotta contro l’utilizzo di linguaggio razzista, con l’intenzione di sospendere le partite, senza i tentennamenti del passato, non appena si alzeranno cori di stampo razzista dalle tribune.

Pubblico sugli spalti

Le nuove norme contro il razzismo negli stadi

Ancora, c’è l’idea di lavorare con attenzione più specifica a una serie di prodotti di comunicazione che possano sensibilizzare sul tema i ragazzi e le ragazze più giovani. Uno dei problemi più pressanti sul fronte del razzismo nel calcio italiano viene infatti dall’incapacità che il movimento rileva nel presentarsi in maniera credibile, soprattutto alle generazioni più giovani, nella direzione di testimonial contro le intolleranze.

Fra i passaggi chiave del documento si parla, come già segnalato poco sopra, della necessità di evitare di distribuire ai calciatori e inserire nella numerazione ufficiale maglie con numerologie di richiamo razzista. Un esempio su tutti il numero “88”, che richiama in maniera diretta il mondo fascista e nazista.

Ancora, importante l’idea di elaborare il già esistente Codice etico, inserendo all’interno un passaggio chiaro rispetto alla definizione di antisemitismo. In questo senso, il protocollo auspica un meccanismo di sanzioni molto più rigido di quello attuale. Nella stessa direzione si spera di poter implementare la misura che vieta ai gruppi del tifo organizzato l’esposizione di croci celtiche, svastiche e in generale simboli discriminatori: riusciranno le società, su tutte Verona e Lazio, a tenere a bada le loro tifoserie da questo punto di vista?

Attenzione alla lingua utilizzata anche fuori dal campo, con un focus specifico sui post social dei calciatori e dei tesserati, oltre che su dichiarazioni ai giornalisti e nello spazio pubblico. Si cerca inoltre, attraverso questa dichiarazione d’intenti, di costruire una cultura del rispetto, imponendo la solidarietà a chi rimane colpito da atti razzisti negli stadi.

Certo le parole non bastano e per questo la speranza, dichiarata anche nel documento, è quella di sviluppare un quadro disciplinare molto preciso, per quanto riguarda eventuali sanzioni, nei confronti delle società le cui tifoserie insistano, nel tempo, a promuovere atteggiamenti razzisti e antisemiti. Dal punto di vista tecnico un aiuto fondamentale può arrivare dalla tecnologia e per questo Federcalcio e governo intendono potenziare gli impianti di videosorveglianza, per identificare, senza se e senza ma, i protagonisti di eventuali attacchi di stampo razzista. Un altro passaggio da fare è quello della prevenzione, visto che molto si può cambiare grazie all’educazione: visite ai memoriali della Shoa, ad Auschwitz, così come letture e informazioni, ad esempio, sull’apartheid in Sudafrica, possono aiutare a costruire una società calcistica finalmente libera dal razzismo.

Gli episodi di razzismo più gravi nella storia della Serie A

Rimanendo, per forza di cose, ai tempi più recenti (perché in passato era più difficile dimostrare gli episodi razzisti, non c’erano centinaia di camere a immortalare tutto) vale la pena ricordare alcuni casi divenuti purtroppo storici. Una dimostrazione plastica dell’arretratezza culturale del nostro calcio venne data nel 2014 dalla massima autorità istituzionale sul calcio in Italia: l’allora presidente FIGC Carlo Tavecchio.

All’epoca, durante il suo discorso di candidatura alla presidenza, Tavecchio definì i calciatori extracomunitari degli “Opti Pobà che prima mangiava le banane, adesso gioca titolare nella Lazio”. Una dichiarazione che non ha bisogno di commenti. Un capitolo a parte lo meriterebbe Mario Balotelli, che nel tempo, da quando, già da ragazzino, è diventato un calciatore di livello nazionale, ha dovuto subire continui attacchi diretti al colore della sua pelle.

Storico, in questo senso, resta l’episodio di Verona – Brescia del novembre 2019, quando Balotelli, dopo gli ennesimi ululati in arrivo dalla curva del Verona non appena toccava palla, interruppe il gioco e scagliò il pallone verso le tribune. Luca Castellini, capo ultras dell’Hellas Verona e dirigente nazionale di Forza Nuova, parlò in quel caso di “folklore” e non di razzismo, riducendo a un divertissement i cori contro il numero 9 del Brescia. In quel caso c’è probabilmente tutta la difficoltà del calcio italiano a fare i conti con sé stesso, un movimento che troppo frequentemente derubrica il razzismo a fenomeno goliardico.

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