Il gap salariale fra sport maschile e sport femminile
Si riflette in maniera sempre più pressante sulla necessità di adeguare gli stipendi delle sportive a quelli dei loro colleghi uomini. Eppure, c’è ancora molta strada da fare per abbattere il salary gap nello sport.
La strada è ancora lunga
C’è un punto positivo dal quale partire: è stata fatta molta strada, negli ultimi dieci anni, sulla questione del gap salariale fra sport maschile e sport femminile. Detto questo, c’è però ancora tantissimo da fare per creare una reale uguaglianza fra uomini e donne che praticano sport, sia sul tema della retribuzione che per quanto riguarda le strutture di allenamento, i contratti sportivi, la visibilità e la rappresentanza negli organi che gestiscono e comandano lo sport mondiale.
Il gruppo di alto livello sull’uguaglianza di genere nello sport, istituito dalla commissaria europea per l’innovazione, la cultura, la ricerca, l’istruzione e la gioventù Marija Gabriel nel 2022, ha presentato un piano d’azione che gli Stati membri dovrebbero perseguire, entro il 2026, per garantire maggiore uguaglianza tra uomini e donne. Più che verificare come sta andando l’applicazione del piano (è comunque ancora troppo presto) vale la pena comunque passare in rassegna alcuni punti, in quanto fotografano in maniera molto chiara la situazione.
Fra le questioni più urgenti da risolvere per ridurre la distanza salariale nello sport fra uomini e donne viene ad esempio segnalata la necessità di lavorare meglio sul tema della formazione. Da questo punto di vista è essenziale lavorare affinché il tema dell’uguaglianza di genere nello sport sia un concetto netto già a partire dallo sport giovanile, così da avere una ricaduta intersezionale di lungo periodo.Altro elemento di grande importanza è quello che vede gli uomini non solo come parte osservatrice, ma come grimaldello decisivo per ridurre il gap. Sono proprio gli uomini, infatti, a doversi battere con le donne affinché gli stipendi siano bilanciati e in modo che i ruoli decisionali più importanti nelle federazioni e negli organismi internazionali vengano distribuiti in maniera consona fra uomini e donne.
Attraverso la partecipazione, infatti, si può sostenere lo sviluppo dello sport femminile e costruire, tassello dopo tassello, un mondo sportivo più equilibrato, riassestandolo a livelli che sono invece, in questo momento, del tutto fuori scala. Se prendiamo come riferimento gli Stati Uniti, in teoria un paese già abbastanza avanti dal punto di vista della parità salariale, vediamo comunque come gli atleti uomini guadagnano molto di più delle loro controparti femminili.
In sport come la pallacanestro, il golf, il baseball, il tennis, la differenza di retribuzione tra giocatori di sesso maschile e femminile può variare dal 15% a quasi il 100%. Per fare un esempio, lo stipendio base medio di un giocatore della NBA è circa quarantaquattro volte superiore allo stipendio medio annuo di una giocatrice della WNBA, una distanza che non è giustificabile dal fatto che la stagione della WNBA sia più breve, con 36 partite rispetto alle 82 della NBA. Attenzione però, perché proprio dagli Stati Uniti arriva anche una buona notizia: le squadre nazionali femminile e maschile di calcio degli USA ricevono la stessa retribuzione.
L’esempio del calcio dimostra che la parità salariale è ancora lontana
Da una parte abbiamo Alex Morgan e Megan Rapinoe (appena ritiratasi), le due calciatrici più famose la mondo che nel 2022 hanno portato a casa quasi 6 milioni di dollari. Dall’altra Cristiano Ronaldo, che secondo Forbes invece ha incassato 136 milioni.
La punta dell’iceberg non sono però stipendi comunque molto alti come quelli di Morgan e Rapinoe, ma le rilevazioni che spiegano come, in alcuni campionati di prima fascia, le calciatrici possano ricevere stipendi anche da 600 euro al mese, secondo i dati FIFpro, la federazione internazionali dei calciatori e delle calciatrici professioniste.
In occasione della coppa del mondo di calcio femminile 2023, giocatasi in Nuova Zelanda dal 20 luglio al 20 agosto scorsi, FIFPRO ha pubblicato un rapporto secondo il quale oltre il 60% delle giocatrici partecipanti al mondiale ha dovuto prendere un congedo non retribuito da un altro lavoro per poter giocare per la propria squadra nazionale nei tornei di qualificazione alla Coppa del Mondo. Inoltre, il 30% delle stesse giocatrici non ha ricevuto alcun compenso dalle squadre nazionali negli ultimi diciotto mesi.
È la stessa FIFA, in un documento del 2022, a spiegare come il 23% delle squadre ai campionati nazionali femminili di calcio delle federazioni qualificatesi al mondiale vedono club composti da sole dilettanti, che rimborsano solo piccole spese alle giocatrici. I numeri, insomma, sono davvero impietosi e bisognerà impegnarsi con forza nel prossimo decennio per far capire, prima di tutto al pubblico, che lo sport ha bisogno di uguaglianza.