La fiaba di Cherif Karamoko, dall’inferno in Guinea alla Serie B
Troppo spesso diamo per scontato che i calciatori siano giovani viziati che vivono in un mondo distante dalla realtà. Generalizzazione superficiale: in molti casi dietro le storie di ragazzi che corrono dietro a un pallone ci sono non solo sacrifici, ma anche tragiche odissee, per fortuna a volte a lieto fine, come nel caso di Cherif Karamoko,
L’odissea di un giovane campione
Si può immaginare cosa è passato nella mente di un ragazzo di 19 anni quando, lo scorso 11 maggio, ha esordito con la maglia del Padova nella nostra Serie B, nella partita contro il Livorno? Brividi e gioia, certo. Ma se quel ragazzo, a quell’età, ha già vissuto esperienze che non augureremmo al nostro peggior nemico, forse non possiamo arrivare davvero a capire il turbinio di emozioni passate nel cuore di Cherif Karamoko, dalla Guinea alla Serie B passando per l’inferno della guerra, della fuga e dei naufragi.
Cherif cresce in Guinea, in una zona infestata da dissidi tra i gruppi etnici del paese. Suo papà è l’imam della cittadina di Nzerekore, e nel 2013 un commando dell’etnia rivale attacca la loro casa: nella sparatoria il padre è colpito a morte, mentre il fratello maggiore si dà alla macchia. Due anni dopo muore anche la mamma di Cherif, ma il fratello si rifà vivo: è andato in Libia a lavorare, e manda soldi a casa. Cherif intanto gioca a pallone e sogna Zidane e Del Piero.
La Libia e la traversata del Mediterraneo
Il fratello di Cherif dice che in Libia la situazione si aggrava, e bisogna andare via. Vuole che Cherif lo raggiunga e insieme lascino l’Africa. L’autista che lo fa entrare in Libia, però, lo vende a una delle bande tribali, che lo tengono in ostaggio chiedendo 2.000€ al fratello. In due mesi i soldi si trovano e Cherif è libero. I due fratelli decidono di andare in Italia. Prima però bisogna raggiungere Tripoli, attraversando il deserto, per imbarcarsi.
Dopo due mesi si parte. Il barcone è strapieno. 150 persone e ce ne starebbe la metà, è dicembre, il mare arrabbiato e il barcone ha una falla. Ci sono solo 5 giubbotti salvagente, e tra la gente a bordo scatta una rissa per accaparrarseli. È il colpo di grazia: la barca affonda, Cherif e il fratello devono bere l’acqua salata mista alla benzina. Poi arriva la nave di salvataggio, e i naufraghi vengono sbarcati a Reggio Calabria. Il fratello di Cherif, però, non ce la fa.
Quella gente non sa cos’è l’umanità. Se un barcone è rotto, loro lo riempiono lo stesso. In uno da 60 persone ce ne mettono 200, e se non vuoi salire ti minacciano, ti spingono, ti sparano ai piedi. La scelta è salire o una pallottola. Io e mio fratello ci siamo stretti insieme.–Cherif Karamoko, calciatore del Padova
Dalla Calabria a Padova
Cherif è disperato, parla pochissimo italiano e vive di stenti. Poi conosce Mimmo, che gli dà qualche soldo e un po’ di speranza, oltre a farlo accogliere da una cooperativa. Che però non fa studiare l’italiano agli ospiti, e così Cherif guida una delegazione di profughi alla prefettura e fa valere le sue ragioni. Di lì a poco arriva l’ordine di trasferimento. La prossima tappa è Battaglia Terme, vicino a Padova. La ruota comincia finalmente a girare, per Cherif.
A Battaglia impara l’italiano e riprende a giocare a calcio. Ma la benzina e l’acqua che ha bevuto nel Mediterraneo gli hanno fatto venire l’asma. Cherif si cura, e a Battaglia diventa un fenomeno. I dirigenti del Padova se ne accorgono e lo convocano: vogliono che entri nella Primavera dei biancorossi. Nove mesi durissimi, di allenamento senza mai giocare nemmeno le amichevoli, fino a quando non arriva la convocazione in prima squadra. I compagni lo adottano, gli regalano vestiti e scarpe. E poi finalmente quell’11 maggio. L’esordio in prima squadra, in una partita vera. E i sogni che, finalmente, si avverano. Ora Cherif potrà finalmente piangere, ma di gioia, e con una strada davanti a sé per una volta in discesa.