Playoff NBA 2020: Lakers e Bucks tra campo e clamorosi scioperi
I playoff NBA 2020 sono ormai un caso nello sport mondiale: prima la decisione di disputare tutte le gare nella cosiddetta “bolla” di Orlando, poi le clamorose proteste contro le violenze della polizia statunitense sui cittadini di colore culminato nello sciopero dei giocatori. Le partite sono riprese poi il 28 agosto. La situazione.
Una protesta senza precedenti
La stagione 2019/20 della NBA sarà ricordata nei libri di storia e non solo negli annali sportivi. Sconvolta, come tutte le discipline sportive, dall’epidemia di coronavirus, la pallacanestro a stelle e strisce ha deciso all’inizio dell’estate di completare la propria annata disputando tutti i restanti incontri della regular season e dei playoff nel campus di Disneyworld, in Florida, naturalmente a porte chiuse. Una “bolla” in cui da settimane i giocatori sono chiusi come in un collegio per evitare rischi di contagio.
Da una bolla si possono tener fuori un virus e gli affetti familiari, ma non certo le notizie che vengono dal proprio Paese, in particolare in un momento in cui gli episodi di razzismo verso la comunità africana sono in escalation, e in cui aumentano gli incredibili atti di violenza della polizia verso cittadini di colore disarmati. Gli USA sono in fiamme, con proteste anche violente in tutti gli Stati: prima l’omicidio di George Floyd, con l’ormai celeberrimo “I can’t breathe” pronunciato dall’uomo, poi, pochissimi giorni fa, l’incredibile salva di colpi di pistola (7) sparati alle spalle di Jacob Blake, un cittadino afroamericano di Kenosha, una cittadina del Wisconsin, intervenuto per placare una rissa e crivellato di colpi dalla polizia, che lo hanno reso paralizzato dal bacino in giù. L’intera scena è stata ripresa da telefonini che hanno reso virale il tutto.
Si è trattato della goccia che ha fatto traboccare il vaso, per gli atleti di una lega, la NBA, nella quale il 75% dei giocatori è afroamericano e che da sempre è quella più progressista dello sport americano. Il 26 agosto si sarebbe dovuta disputare gara 5 del primo turno dei playoff tra Milwaukee Bucks e Orlando Magic, ma i giocatori dei Bucks (peraltro una delle squadre favorite per la conquista del titolo), franchigia proprio del Wisconsin, hanno detto no: Giannis Antetokounmpo e compagni si sono rifiutati di scendere in campo, al grido di “Enough is enough”. I giocatori di Orlando si sono uniti alla protesta, rifiutando la vittoria a tavolino.
Da lì è stato un effetto a catena: i Los Angeles Lakers sarebbero dovuti scendere in campo di lì a poco contro Portland, ma entrambe le squadre hanno appoggiato immediatamente lo sciopero, e del resto LeBron James è da sempre schieratissimo con il movimento Black Lives Matter. Lo stesso hanno fatto Los Angeles Clippers, Dallas Mavericks, Denver Nuggets, Utah Jazz e tutte le altre squadre, supportate dai loro presidenti e anche dagli arbitri della lega.
Cosa è successo poi
L’incredibile sciopero wildcat (cioè organizzato autonomamente dagli atleti, senza comunicare la decisione né alle loro società, né ai sindacati dei giocatori) ha generato una vera valanga: immediatamente solidali con gli atleti della NBA, si sono associate alla protesta le cestiste della WNBA, ma anche i giocatori di baseball della Major League e i calciatori della Major League Soccer, nonché gli hockeysti della NHL. L’effetto dello sciopero ha toccato anche il tennis, con gli incontri del torneo di New York sospesi per le proteste guidate dalla campionessa Naomi Osaka.
Naturalmente non si è fatto attendere lo sdegno del presidente degli Stati Uniti. Dalla convention del Partito Repubblicano, in corso di svolgimento in questi giorni, Donald Trump ha tuonato: “La gente è stufa della NBA, che è diventata una associazione politica e non più sportiva”, ignorando che la pallacanestro USA, nonostante le molte contraddizioni di una lega ricchissima, è da sempre particolarmente attenta alle tematiche sociopolitiche statunitensi.
La giornata del 27 agosto è stata convulsa e ricca di incontri e confronti. Inizialmente i giocatori di Lakers e Clippers volevano alzare il livello dello scontro, proclamando la chiusura definitiva della stagione. Ma l’incontro decisivo, con due rappresentanti per squadra, ha permesso di giungere a una soluzione condivisa, orientata alla ripresa delle partite, in questo weekend. Del resto far saltare il resto della stagione avrebbe significato rinunciare a stipendi per un miliardo di dollari mettendo a rischio posti di lavoro, non tanto di chi gioca ma dei dipendenti delle franchigie. Inoltre, la visibilità ancora più accresciuta del basket USA nella bolla di Orlando dopo questa vicenda permetterà a giocatori e presidenti (solidali, come detto, con le rivendicazioni degli atleti) di continuare la loro protesta con mezzi probabilmente più visibili delle scritte “Black Lives Matter” attualmente presenti sulle divise da gioco.
Le partite rinviate mercoledì sera si sono disputate sabato, mentre quelle di giovedì verranno recuperate oggi.
Il quadro dei risultati
Prima della settimana più lunga del basket nordamericano, la situazione nei playoff NBA 2019/20 era molto diversa da conference a conference. A Est, quasi tutto deciso per quanto riguarda il primo turno: i Toronto Raptors hanno avuto vita facile con i Brooklyn Nets (4-0), e affronteranno nelle semifinali di conference i Boston Celtics, che con lo stesso risultato si sono sbarazzati di Philadelphia. 4-0 anche per i Miami Heat contro gli Indiana Pacers: ora i giocatori della Florida attendono la vincente di Bucks – Orlando. Gara 5 si è disputata nella notte, con Milwaukee avanti 3-1.
Situazione come da parecchi anni a questa parte molto più equilibrata a Ovest, dove tutte le partite sono giunte a gara 5, tutte disputate tra la notte di ieri e oggi. I Lakers sono sul 3-1 contro Portland, mentre Houston Rockets e Oklahoma City Thunders sono sul 2-2. Denver e Los Angeles Clippers sono invece già a gara 6, perché entrambe sono sul 3-2, rispettivamente contro Utah Jazz e Dallas Mavericks.