Super League, cosa rimane? Le prospettive dopo la cancellazione
Il progetto della Super League, la nuova competizione europea progettata da 12 club senza il consenso dell’UEFA, si è sgretolata. Facciamo un’analisi di quello che è successo a 10 giorni dai fatti e vediamo perché il progetto mette ancora a rischio il calcio europeo.
Super League, cronaca di un naufragio
Il progetto della Super League, la nuova competizione paneuropea di calcio, non si farà. Subito dopo lo scioccante strappo con la UEFA e l’annuncio, come un fulmine a ciel sereno, della creazione, da parte di 12 top club europei (6 inglesi, 3 spagnoli e 3 italiani), del nuovo campionato continentale, sono iniziate le polemiche. E il meccanismo, che sembrava ormai realtà, ha cominciato subito a scricchiolare.
Aleksander Ceferin, presidente della UEFA, ha iniziato fin dalle prime battute a minacciare sanzioni pesantissime per i club e i giocatori coinvolti dal progetto, come l’esclusione da tutte le competizioni organizzate dalla sua associazione, inclusi i campionati europei di calcio. Lo stesso hanno fatto tutte le federazioni nazionali, oltre che organi di stampa e tifosi in tutto il mondo.
Sono partite le defezioni. All’inizio solo ventilate, a partire da quella del Chelsea, a cui si sono unite poi ufficialmente man mano anche le altre squadre inglesi. Hanno poi abbandonato Inter, Milan, Atletico Madrid e Barcellona, lasciando Florentino Perez del Real e Andrea Agnelli della Juve, i dirigenti che più si erano esposti per la Super League, con il cerino in mano, costretti ad alzare bandiera bianca di fronte all’ammutinamento compiuto. Un progetto durato lo spazio di 48 ore, tra il 19 e il 21 aprile: è stata quindi solo una farsa?
Quali saranno le conseguenze sul calcio europeo del futuro?
Intanto, però, l’idea di una nuova lega è stata data in pasto ai tifosi di tutto il mondo, che per due giorni hanno comunque creduto che il progetto sarebbe andato in porto. Da più parti è comunque passata l’idea che una simile evoluzione del calcio mondiale, sganciata dalla territorialità e dai tifosi, oltre che dal “merito”, sarà prima o poi ineluttabile, e forse era davvero questo lo scopo di un annuncio che ha avuto, a posteriori, il sapore di una boutade.
Secondo le stime del rapporto sul calcio di Deloitte, i 20 principali club europei hanno creato nel 2020 un fatturato pari a 8,2 miliardi di euro nonostante la pandemia. Tutti gli altri club messi insieme, meno della metà: la polarizzazione monopolistica è già una realtà.
In ogni caso, anche se i top club europei sono arrivati ai ferri corti con la UEFA, nelle prossime contrattazioni con l’organo del calcio europeo per le riforme dei tornei, avranno il coltello dalla parte del manico e potranno contare su una spada di Damocle sulla testa di Ceferin.
La UEFA, dal canto suo, si è subito affrettata a rendere noto il progetto di riforma della Champions League, che dovrebbe entrare in vigore a partire dalla stagione 2023-2024. Una riforma parsa subito raffazzonata e poco credibile e che, secondo molti addetti ai lavori, farebbe quasi rimpiangere il progetto della Super League.
D’altronde, la vulgata che è stata proposta dai principali mass media, secondo cui da una parte ci sarebbero i club ricchi e potenti che vogliono rompere il giochino e rovinare la bellezza del calcio con la loro prepotenza, rivendicando con nostalgia i bei tempi in cui il calcio era passione, non regge. I principali avversari della Super League sono la UEFA, le tv private e a pagamento e gli inventori del calcio spezzatino. Non i tifosi, che ormai, già da ben prima del lockdown, sono stati buttati fuori dagli stadi.