L’impatto ambientale della Formula 1

Spesso ci si concentra solo sulle emissioni delle monoposto, ma la realtà è che l’impatto più profondo della F1, quando si parla di ambiente, arriva da logistica e organizzazione. Su questo bisogna ancora lavorare.

C’è ancora molto da fare

Report impatto ambientale F1 2024

Formula1, quanto incide sull’ambiente

La Formula 1, agli occhi puri di chi la guarda da semplice appassionato, nei fine settimana, è fatta solo di quelle poche ore durante cui le monoposto, in qualificazione prima e in gara dopo, si danno battaglia in pista.

Lo spettacolo grandioso della velocità, la trasformazione pratica di progetti meccanici avveniristici in macchine perfette che sfilano dinamiche e imprendibili, fa così dimenticare tutto ciò che sta dietro le quinte, vale a dire uno delle più enormi e dispendiose carovane organizzative al mondo.

Una quantità gigantesca di uomini, mezzi e strumenti che viaggia da marzo a dicembre lungo quattro continenti, per oltre 100.000 chilometri: uno sforzo mostruoso, che chiaramente, inevitabilmente, ha, insieme alle emissioni prodotte dalle monoposto durante le gare, un impatto ambientale devastante.

Non è, in teoria, un aspetto che la FIA, la Federazione Automobilistica Internazionale, considera di poco conto. L’obiettivo emissioni zero entro il 2030, l’impegno a utilizzare solo biocarburante prodotto da etanolo rinnovabile a partire dal 2026, l’imposizione di motori ibridi che distribuiscano in maniera bilanciata le power unit, al 50% elettriche e per il restante 50% a combustione termica, sono alcuni dei punti che mostrano come la Formula 1 stia cercando di valutare in maniera più attenta gli effetti ambientali della sua produzione sportiva.

Prima di visualizzare in maniera analitica tutte le varie angolazioni dell’ambizioso programma a cui sta lavorando la F1 per ridurre la sua, cosiddetta “carbon footprint”, proviamo però a capire qual è effettivamente l’impatto ambientale del Circus. Secondo i rapporti stilati direttamente dalla FIA, il mondo della Formula 1 è responsabile per emissioni di anidride carbonica comprese fra 220.000 e 260.000 tonnellate a stagione.

Si tratta di una valore altissimo: per avere un termine di comparazione immediato, basta pensare che un volo Parigi – New York da quasi 6.000 chilometri, calcolando sia l’andata che il ritorno, produce 1,75 tonnellate di CO2, ed è universalmente riconosciuto come uno dei mezzi più inquinanti al mondo.

Report impatto ambientale F1 2024

Il calcolo intorno alle 250.000 tonnellate a stagione elaborato dalla FIA si riferisce alle emissioni delle monoposto nei weekend delle gare, agli spostamenti logistici dei gruppi squadre cui si accennava in apertura (i “famosi” 100.000 chilometri l’anno) all’impatto ambientale dato dall’energia consumata dai team e dall’organizzazione degli l’evento, oltre che daila gigantesca quantità di rifiuti, alcuni anche di complesso smaltimento, prodotti ogni fine settimana.

Di queste oltre 200.000 tonnellate, si è calcolato che quasi la metà sia prodotta dal comparto logistico della Formula 1, vale a dire dagli spostamenti su strada, per via aerea e per mezzo di navi con i quali le squadre movimentano strumenti, attrezzature e materiale che a vario titolo è parte dei box.

Un altro 30% è invece legato ai viaggi fisici dei dipendenti delle squadre, così come degli sponsor e di tutti coloro i quali, a vario titolo, fanno parte del grande carrozzone della Formula 1: i loro spostamenti, le decine di aerei che prendono ogni anno, pesano per circa 70.000 tonnellate di anidride carbonica sulla carbon footprint della F1.

Quindi abbiamo un 20% che viene rubricato come “factory and facilities” , quindi si tratta dell’impatto sviluppato dai team nelle fasi costruzione delle monoposto. Gli eventi automobilistici, dunque tutta l’energia, i rifiuti, l’impatto ambientale generato dal momento agonistico, dai gran premi, sono responsabili di una carbon footprint di poco inferiore al 10%.

Ci sono poi sono le macchine, le emissioni delle monoposto, che a quando emerge dai report incidono per appena l’1% del totale in termini di impatto ambientale. Un risultato, questo, che è arrivato anche grazie alla riduzione nell’utilizzo di carburante nelle monoposto.

Fino al 2014 infatti le macchine bruciavano oltre 160 chilogrammi di benzina per ogni gara, mentre oggi, grazie a una nuova regola FIA ormai attiva da diversi anni, le monoposto non possono caricare più di 100 chili di carburante per corsa. Le emissioni, peraltro, dovrebbero scendere ancora, visto che la F1 ha fissato un protocollo per giungere a un massimo di 70 kg di carburante per monoposto entro la stagione 2026.

Il lavoro sui motori

Uno degli elementi sui quali si discute più a fondo riguarda le motorizzazioni ibride delle macchine, che dovrebbero rendere le monoposto ancora più “verdi” grazie a un bilanciamento totale nel rapporto fra elettrico e termico.

In realtà, più che a una distribuzione 50-50, si andrà verso un 60/70 contro 40/30, visto che il motore termico continuerà comunque a produrre almeno due terzi dell’energia necessaria alla monoposto, mentre la parte elettrica lavorerà per ricaricare la batteria recuperando forza dai momenti di frenata.

In questo modo, e grazie alle batterie, ci sarà un miglioramento importante nell’accelerazione in uscita dalle curve. Ciò avverrà grazie al sistema Motor Generator Unit-Kinetic (MGU-K) , checonverte l’energia cinetica della frenata in energia elettrica e la immagazzina nella batteria.

Il Motor Generator Unit-Heat (MGU-H), che immagazzina l’energia termica dei gas di scarico per aumentare la potenza del motore dovrebbe invece essere abbandonato dal 2026. La F1, in tal senso, punta ad aumentare l’efficienza energetica dell’MGU-K portando la potenza in uscita dell’MGU-K dai 130 kW attuali a 350 kW entro il 2026.

Insomma, se l’interrogativo sull’effettiva efficacia dei motori ibridi in Formula 1, pensando in termini complessivi alla riduzione dell’impatto ambientale del Circus, resta aperto, di certo c’è che rispetto alla combustione “classica”, i modelli ibridi che sta studiando la F1 costituiscono un gigantesco passo in avanti.

Allo stesso modo, va sottolineato l’impegno della Formula 1 al riciclaggio dei materiali utilizzati durante i fine settimana di corsa, soprattutto le batterie, un altro elemento che dovrebbe abbattere ancora di qualche punto la carbon footprint.

Non va sottovaluto inoltre il tema dei biocarburanti, che dovrebbero alimentare integralmente i motori delle monoposto a partire dalla stagione 2026. Si tratterà di “fuel” sintetizzato a partire da rifiuti urbani e biomassa non alimentare, che verrà poi combinati ad additivi speciali in grado di renderli performanti per le motorizzazioni delle auto.

Da una parte, questo sistema rendere le monoposto “carbon neutral” in termini di emissioni, dall’altro però aumenteranno esponenzialmente i prezzi: se un litro di benzina oggi viene pagato dalle squadre intorno agli 11 euro al litro, dalla stagione 2026 il costo potrebbe arrivare fino a 170 euro per litro.

La riflessione di fondo, in ogni caso, resta molto chiara. È evidente il lavoro che la F1 sta portando avanti per la riduzione delle emissioni e l’abbassamento della quota di carbon footprint per tutto ciò che riguarda le auto e i carburanti.

Come abbiamo visto, però, si tratta di sforzi che vanno a incidere su una quota di emissioni che è pari ad appena l’1% del totale emesso. Di conseguenza, in futuro la F1 dovrà fare un ulteriore sforzo e ragionare su un calendario che accorpi le gare in blocchi continentali (in parte lo fa già, ma non del tutto) e verificare l’ipotesi di correre consecutivamente due o più gran premi nello stesso paese, o in paesi confinanti.

La quota maggiore di emissioni, infatti, è proprio quella connessa agli spostamenti di persone e cose e per produrre miglioramenti efficaci, sul lungo periodo, non si può evitare di riformare anche quel fronte.

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