Carlos Valderrama, storia del Gullit biondo del calcio

Nato a Santa Marta, sulla costa nord della Colombia, nel 1961, El Pibe è considerato una delle icone più brillanti nella storia del calcio sudamericano e fra i calciatori più famosi di sempre del futbol mondiale.

Il tocco, la visione di gioco, i capelli

Qualcuno lo paragonava a Charles Bronson, il divo americano anni ’70 e ’80 dei film sparatutto, faccia dura e forza bruta. Ma la verità è che Carlos Valderrama non era un giocatore di potenza, quanto di ritmo. Con la maglia numero 10 del Deportivo Cali, del Montpellier, della nazionale colombiana, disegnava calcio col tono compassato e soffice che solo i fantasisti sudamericani sanno imprimere al pallone.

Se è vero che negli occhi degli appassionati rimane indimenticabile non solo per le sue raffinate geometrie, ma specialmente per la capigliatura, voluminosa e bionda, che lo ha accompagnato durante tutta la sua carriera, è giusto sottolineare che Valderrama non era un fenomeno di costume, ma un calciatore vero.

Sagoma Valderrama, bandiera Colombia

Chi è Carlos Valderrama

Eduardo Galeano, il grande scrittore uruguaiano, diceva che la Colombia di Francisco Maturana, di cui Valderrama era il perno fondamentale, giocava al “toque”, una specie di versione ballata e primordiale del tiki-taka barcelloniano. Galeano scrisse che il “toque”, il tocco, era “una maniera unica di giocare a calcio, era come ballare in una milonga di Bogotà la domenica pomeriggio, il pallone non veniva calciato, ma suonato, come una chitarra, ogni passaggio era una musica”.

Ecco, il musicista principe di quella squadra straordinaria, che vinse poco ma divertì moltissimo e di cui facevano parte personaggi straordinari come il portiere René Higuita e l’attaccante, passato anche da Napoli, Freddy Rincon, era Carlos Valderrama: regista, capitano, anima e punto di riferimento pubblico della Colombia anni ’90.

Un concentrato di eleganza da metronomo, tocchi di palla ridotti al minimo, traccianti a disegnare linee infinite da una parte all’altra del terreno di gioco, come un pittore che colora sulla tela. Carlos Valderrama, in campo, era la rappresentazione del calore appiccicoso e morbido della costa atlantica nella quale era cresciuto.

Rilassato, sorridente, il suo era un calcio fatto di gioia e superbia, nel quale divenne personaggio quando i social media non esistevano ancora. Calzini bassi, braccialetti colorati ai polsi, tutta la sua immagine faceva quasi pensare Valderrama nemmeno fosse un calciatore, quanto piuttosto un cantante di cumbia prestato ai campi da calcio.

La leggerezza di essere Valderrama

Carlos Valderrama era famoso per una frase che pronunciava tutto il tempo, in ogni occasione, sia durante le partite che nella vita reale: todo bien, todo bien. Un monito di calma, un “va tutto bene”che Valderrama utilizzava soprattutto per disinnescare le domande impertinenti dei giornalisti, che lo assediavano dopo qualche risultato deludente, oppure gli chiedevano conto della sua vita di divertimenti e feste: todo bien, todo bien.

Valderrama, con la maglietta numero 10 sulle spalle, fu nominato per due volte giocatore sudamericano dell’anno: successe nell’87 e poi ancora nel 1993. A quell’epoca Carlos giocava intorno al cerchio di centrocampo e in un calcio fisico e brutale come quello dell’America Latina anni Ottanta e Novanta i suoi colpi creativi erano un vero e proprio lusso tattico. Con la palla al piede, ma anche senza il pallone addosso, il ragazzo di Santa Marta si muoveva negli spazi, andava in pressing, non aveva problemi a mettere la gamba in un contrasto duro, se ce n’era bisogno.

La sua capacità di trovare linee di passaggio nascoste, di comunicare quasi telepaticamente con i compagni, era miracolosa. Storico resta, ad esempio, l’assist per Freddy Rincon, al novantreesimo di Colombia – Germania Ovest dei Mondiali di Italia ’90. Ai colombiani serve almeno un punto contro i tedeschi per superare per la prima volta nella storia la fase a gironi. Valderrama ha giocato una partita di sacrificio, subendo l’aggressione fisica, i colpi brutali, di Thomas Berthold, il difensore, all’epoca in forza alla Roma, che non l’ha mollato nemmeno un momento.

La partita si è messa male, con i teutonici passati in vantaggio a pochi minuti dal novantesimo con un sinistro potente di Pierre Littbarski, trentenne attaccante del Colonia, che gela i Cafeteros. Sembra finita, ma Maturana, dalla panchina, invita i colombiani a crederci. Passano due minuti e Valderrama tira fuori dal cilindro una delle sue invenzioni.

Attira su di sé, per un’ultima volta, Berthold, poi vede, con la coda dell’occhio, che Freddy Rincon si sta inserendo sulla fascia destra e mette un pallone in profondità che cade perfettamente sulla corsa del compagno: è gol, 1 a 1, la Colombia va agli ottavi. Valderrama, ancora una volta, ha mostrato al mondo la serena follia del suo talento sopra le righe.

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