Chi è John McFall, l’atleta paralimpico diventato astronauta

L’ex sprinter John McFall sta lavorando con l’Agenzia spaziale europea a uno studio rivoluzionario: verificare se è fattibile per una persona con disabilità fisica vivere e lavorare nello spazio. Ecco come sta andando.

McFall, una storia di caparbietà

McFall perse la parte inferiore della gamba destra in un incidente motociclistico, quando aveva 19 anni. Dopo alcuni anni difficili, McFall, che da teenager era un ottimo giocatore di hockey, ha cominciato a praticare l’atletica leggera, grazie a una protesi alla gamba che lo ha portato a diventare un atleta paralimpico professionista nel 2005.

Da lì, ecco l’inizio di una carriera sportiva importante, con la vittoria del mondiale dei 200 e dell’argento nei 100 metri, e poi il bronzo nei 100 metri ai Giochi paralimpici del 2008 a Pechino. Poi, nel novembre del 2022, ecco la chiamata dell’Agenzia Spaziale Europea.

John McFall

John McFall, da atleta paralimpico ad astronauta

Primo astronauta di sempre con disabilità fisica, il lavoro di McFall, ormai da due anni, è quello di lavorare a uno studio rivoluzionario, una ricerca che verifichi la possibilità per un disabile di partecipare in maniera sicura a una missione spaziale.

Per mantenere la massa muscolare e la densità ossea, gli astronauti devono essere estremamente in forma. Nel caso di McFall, gli esperimenti e le prove fisiche sono centrate sulla corsa su un tapis roulant antigravità. Si tratta di uno strumento che imita le condizioni di assenza di peso che gli astronauti sperimentano sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), sollevando McFall da terra in una sacca d’aria che lo rende, in pratica, inconsistente sul fronte del peso.

La grande sfida è quella di adattare la protesi di McFall a questa nuova situazione ambientale, un tentativo davvero non semplice, visto che, come ha spiegato lo stesso McFall, le prestazioni della protesi non sono eccezionali sul tapis roulant, soprattutto a causa di un alleggerimento di oltre l’ottanta per cento del suo peso, legato alla simulazione dell’ambiente spaziale.

L’elemento tecnico di difficoltà è legato alla compressione della protesi, che usualmente rimbalza verso l’alto dopo aver preso contatto con il terreno, spinta dal peso di McFall: un movimento cinetico naturale, che però non è ripetibile in assenza di gravità.

Per questo motivo McFall sta ricalibrando la sua gamba protesica, che include già un microprocessore e diversi elementi di alta tecnologia. Di certo, avrà bisogno, in caso di eventuale missione spaziale, di più di una protesi: una “classica” da corsa, una di riserva, una meccanica che sarà necessaria al momento del lancio in tuta spaziale, più tutta una serie di materiali tecnici.

La collaborazione tra McFall ed ESA, d’altronde, rappresenta uno sforzo pionieristico, una vera e propria impresa che ha come obiettivo quello di dimostrare che la disabilità non è un ostacolo al sogno spaziale. John McFall, ha annunciato Jerome Reineix, responsabile dello studio, potrà viaggiare nello spazio.

In generale, la riuscita di questo tentativo proverebbe, una volta di più, che con l’ausilio delle tecnologia e una grande dose di caparbietà, nulla è precluso, anche a chi deve misurarsi con disabilità fisica grave come quella di McFall.

Come funziona l’allenamento di McFall

La base dell’allenamento di McFall si sviluppa in una specie di enorme centrifuga, una struttura costruita specificamente per questo progetto e nella quale l’ex velocista viene fatto roteare, senza sosta, così da simulare le fortissime correnti gravitazionali alle quali sarebbe esposto sia al momento del lancio della navicella, che, in maniera ancora più estrema, in fase di caduta.

Gli allenamenti si tengono ormai da oltre un anno all’European Astronaut Centre di Colonia, in Germania, e non garantiscono a McFall la sicurezza che un giorno potrà effettivamente partecipare a una missione, quanto piuttosto la raccolta di elementi per verificare, in termini generali, se davvero sia possibile almeno immaginarlo.

Frank De Winne, direttore dell’European Astronaut Centre, ha pensato di lavorare a questo progetto perché convinto si tratti di una grande opportunità per attrarre l’enorme talento delle persone con disabilità dentro il mondo dell’astronautica.

McFall crede moltissimo in questo progetto, così tanto da aver messo in pausa la sua prestigiosa carriera di chirurgo ortopedico e da essersi trasferito in Germania con tutta la famiglia: Sonia, ex ginnasta olimpica, e i loro tre figli piccoli Fin, Isla e Immy.

La sua vita quotidiana fatta di visite ed esami è stata oggi, così, sostituita da una durissima routine di allenamenti, la cui base atletica è concentrata sul mantenere al massimo la massa muscolare e la densità ossea. Al momento, dopo due anni di ricerche, John è a metà strada: mancano ancora due anni di sperimentazione.

Sino ad ora, secondo quanto registrato e come spiegato poco sopra, non c’è nulla che faccia pensare a possibili ostacoli concreti per la partecipazione di una persona con disabilità a un lancio spaziale. Di certo, però, sarà necessario proseguire con i tentativi e capire nel dettaglio quali siano, quali saranno, gli accorgimenti tecnici e logistici da tenere in considerazione nella prospettiva concreta di mandare in orbita, un giorno, il primo astronauta con una limitazione fisica da disabilità.

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