Intervista esclusiva: Andrea Ranocchia tra Inter, Inzaghi, razzismo e…

Intervista esclusiva all’ex capitano dell’Inter Andrea Ranocchia. La soddisfazione per il 20° scudetto neroazzurro e le dinamiche interne al club. Com’è cambiato il ruolo del tecnico oggi. Alcuni passaggi cruciali della sua carriera e il rapporto di stima con Adriano Galliani. Bari, Palermo, la Nazionale di Spalletti. Perché il razzismo nel calcio è un problema radicato e molto altro.

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Il podcast di Siti scommesse, edizione speciale
Qui puoi trovare l’intervista integrale che la nostra redazione ha realizzato in esclusiva con l’ex capitano dell’Inter Andrea Ranocchia.

L’Inter ha vinto lo scudetto battendo proprio il Milan nel derby, soddisfazione doppia o l’importante era solo vincerlo, non importa contro chi? Che sapore ha per te questa seconda stella?

L’importante era vincerlo. La verità è che ancora ho tantissimi rapporti con tanti di loro. Ho passato tanti anni lì e oltre ai giocatori, ho tanti amici, anche nello staff, nei vari componenti che poi ruotano intorno alla squadra quindi sono contentissimo e so quanto ci tenevano. Naturalmente vincerlo nel derby ha un sapore ancora più importante. Quindi diciamo che l’importante era vincere, però vincere nel derby è ancora più speciale.

Tu come vivevi le stracittadine? Ce n’è una che ti ricordi in maniera particolare?

Ti dico la verità, il mio ricordo di un derby è quello che abbiamo perso nel 2011. Ero appena arrivato all’Inter, avevamo fatto una grande rimonta da gennaio a maggio e speravamo di vincere anche il campionato. Abbiamo avuto lo scontro diretto con il Milan che eravamo due punti sotto e l’abbiamo perso. Purtroppo, quello è un ricordo di un derby terribile, però era anche il mio primo derby, quindi sicuramente il sapore, l’atmosfera pre-partita è stata veramente emozionante. Poi purtroppo è finita male, ma nel calcio funziona così, non può andar sempre tutto bene.

Nei pronostici sul nostro sito Sitiscommesse.com, avevamo dato l’Inter come prima favorita per lo scudetto. A inizio stagione, tu ti aspettavi lo stesso con un percorso così netto?

Io l’ho sempre detto perché comunque, secondo me, negli ultimi anni l’Inter ha sempre avuto la squadra più forte. Poi insomma, quando inizia la stagione non sai mai le squadre come reagiranno a una stagione lunga perché c’è la Juve, c’è il Napoli, c’è il Milan… Però la rosa dell’Inter per me è ineguagliabile in Italia perché ha una rosa molto lunga, giocatori molto forti e ogni tanto anche con Simone Inzaghi, quando ci si trova coi ragazzi, ci si scherza tanto. Gli dico sempre che è difficile fare la formazione, sceglierne undici tra questi, col doppio di giocatori che hai a disposizione è veramente complicato perché la rosa è forte.

Lato Champions, invece, pensavi potesse almeno arrivare ai quarti?

La Champions è un discorso a parte, perché il campionato si gioca su tante partite, quindi hai sempre modo di riprendere o magari fai 1 o 2 passi falsi però comunque le partite sono tante e poche squadre riescono a reggerne così tante vincendone tante. In Champions è dentro fuori soprattutto quando passi il girone… è sempre deciso dagli episodi, dallo stato di forma e l’Inter per me, purtroppo, non l’ha persa al ritorno perché comunque al ritorno l’Atletico ha fatto una grandissima partita, non si può che dire bravi agli avversari quando se lo meritano e quando fanno delle belle partite, ma tanto all’andata.

All’andata ha creato tanto, ma non ha concretizzato le occasioni. Ma lì sono episodi perché comunque all’andata l’Inter ha fatto una grande partita, ha creato tantissimo ma gli è mancato l’ultimo passo perché se fossero risciuti ad arrivare a Madrid con un punteggio diverso sicuramente sarebbero passati. Però, ripeto, in Champions sono 180 minuti, magari ci sono i supplementari, rigori… ma c’è poco tempo e non devi sbagliare niente.

Poi sicuramente è dispiaciuto a tutti. C’è rammarico perché una squadra come l’Inter è costruita comunque per vincere. Quando non si raggiunge l’obiettivo c’è del rammarico. Sulle due partite devo dire che l’andata è quella dove devono avere più rammarico i ragazzi.

Andrea Ranocchia

L’ex calciatore Andrea Ranocchia

Come valuti il lavoro della dirigenza dell’Inter negli ultimi 5 anni e cosa perderebbe l’Inter in caso di addio di Marotta?

Per me quelli della dirigenza negli ultimi anni sono stati dei fenomeni a livello mondiale. Io non credo che altri dirigenti siano riusciti a fare il lavoro che hanno fatto loro visto il pochissimo budget, cioè quasi zero. Sappiamo tutti dei vari problemi della società, ma c’è Beppe Marotta, c’è Ausilio e c’è Dario Baccin, sono in tre che gestiscono tutta l’area direzionale della società e hanno fatto per me un lavoro incredibile, posso dire che sono dei top player in quell’ambito perché con poco budget, trovare sempre ogni anno, dei giocatori di altissimo livello anche a parametro zero, come è successo negli ultimi anni, è difficilissimo.

Loro sono stati bravi anche a ricambiare giocatori. Passi da Onana, che l’anno scorso era una certezza, e vai prendere Sommer, che è un giocatore di alto livello, però non lo sai e invece ha fatto molto meglio. Thuram, un giocatore che lo prendi a zero e per me è una rivelazione perché non mi aspettavo riuscisse a incidere così tanto nel primo anno all’Inter. Quando succedono queste cose, vuol dire che la proprietà sia a livello gestionale e non, è stata veramente bravissima.

La conferma di Zhang ai vertici invece la vedi come un fattore positivo per l’ambiente neroazzurro o un cambio di proprietà, magari a una cordata araba, potrebbe favorire obiettivi ancora più prestigiosi?

Personalmente sono contento perché ho lavorato tanti anni per Steven, so la passione che mette in questa squadra e in questa società. Bisogna ricordarsi che Steven quando ha preso l’Inter era una squadra in difficoltà e in pochi anni è riuscito a riportarla ai vertici del calcio europeo e mondiale e ha fatto un lavoro strepitoso. Purtroppo ha avuto dei problemi che non si sa a cosa sono dovuti però io personalmente sono contento e spero che possa continuare per tanti anni.

Anche quando parlo con i ragazzi, con i dirigenti sono tutti contenti della proprietà perché è una proprietà che guarda al futuro, è una proprietà che, seppur lontana, fa sempre sentire la sua presenza e soprattutto è un proprietà che ascolta i consigli che vengono dati dai dirigenti, ascolta anche le necessità dei giocatori e di tutti quelli che ruotano intorno.

Poi se un giorno Zhang non dovesse più riuscire a tenere l’Inter o per esigenze o perché magari ha altri interessi, l’importante è che essendo l’Inter una società centenaria, qualsiasi nuova proprietà potrebbe arrivare deve tener conto di questi fattori, perché è vero che ormai è una multinazionale però i valori che incarna l’Inter di passione e di tanti anni di storia non vanno sottovalutati.

Sempre ambito Inter attuale, c’è qualche giocatore che ti ha sorpreso e non ti aspettavi così forte o così continuativo nelle prestazioni?

Sì, ti do due nomi. Thuram sicuramente. Io ci ho giocato contro qualche anno fa ma lui giocava esterno, era bravo, vedevo che c’era qualità però non in un altro ruolo. Invece quest’anno mi ha veramente stupito perché è un giocatore che si è adattato subito al calcio italiano che non è facile per niente. E poi perché è un giocatore che, da difensore, posso dirti che è difficile da marcare perché può andare in profondità, ti può venire incontro, riesce a capire sempre quando deve tenere il pallone, quando deve prendere fallo, quando deve giocare di prima… quindi è uno dei giocatori che mi ha stupito, oltre a Sommer.

Sommer era un altro che non credevo potesse incidere così tanto, invece ha personalità. Seppur l’Inter è una squadra che subisce poco e che ha subito poco a livello difensivo in tutto il campionato, però quando c’era il momento in cui doveva parare ha sempre parato. Questi sono i due giocatori che mi hanno impressionato e stupito di più.

Tu sei arrivato all’Inter 6 mesi dopo il triplete e avevi 21 anni. Chi ti ha aiutato ad integrarti di più e chi ricordi con più piacere di quel gruppo?

Quando sono arrivato non ci capivo niente. Sono stato trasportato dal Genoa che comunque era una squadra di Serie A però di livello più basso, a una squadra che sei mesi prima aveva alzato tutto quello che poteva alzare a livello di trofei. Quindi mi son ritrovato nello stesso spogliatoio con quei campioni che magari ammiravo qualche mese prima in TV. Lo stupore più grande è che sono stati tutti bravissimi con me, mi hanno accolto benissimo. Non c’è stato un giocatore che mi abbia messo in difficoltà. Ti dico Stankovic, Materazzi, Chivu, Thiago Motta sono questi giocatori che mi hanno aiutato un po’ a capire che cosa era l’Inter, che cosa voleva dire giocare l’Inter. E loro sono stati quelli che mi sono stati più vicino. Poi c’era Samuel, c’era Pupi, c’era Cambiasso, Maicon veramente sono stati tutti tutti bravi con me.

Durante la tua carriera, di giocatori ne hai visti passare parecchi, chi ti ha impressionato di più? Chi sono i migliori per ruolo con cui hai avuto il piacere di giocare o che hai affrontato da avversario?

Il mio più grande idolo che è Nesta. Ci ho giocato contro e lui sicuramente è quello che ho sentito di più a livello di emozioni. Quando ti trovi a giocare contro il tuo idolo, che ci sei cresciuto da bambino è tutto strano, non ti sembra vero. Quindi dico lui in primis. E poi Zanetti, fa impressione perché è un totem del calcio. Poi ci sono Totti, Maldini, Del Piero, Baggio… Quando sei dentro sembrano tutte cose un po’ normali, però se lo vedi da fuori dici “ma sto giocando con Zanetti? Non è vero!”.

Un altro che mi ha impressionato tantissimo è Milito, soprattutto quell’anno lì era infermabile. Contro, invece, Ibrahimovic è un altro giocatore che fa paura per le sue qualità, oltre che per la stazza fisica e per tutto il giocatore che è. Un altro è Samuel, sia per persona che per qualità da difensore, è uno dei più forti difensori con cui ho avuto il piacere di giocare. In Nazionale, ho avuto la fortuna di giocare con Buffon che è un altro totem, un altro giocatore incredibile, Pirlo… Fortunatamente ha giocato con tanti!

Hai menzionato grandi nomi, tornando al presente e avendo un budget illimitato a disposizione, che giocatore vorresti oggi all’Inter e perché?

Vinicius. Io mi immagino sempre, da difensore, come avrei potuto affrontare un giocatore così… non ci dormi, tre quattro giorni prima non riesci a dormirci. È un giocatore che è troppo veloce. Ha tecnica in velocità, che è fuori dal comune e in qualsiasi momento può saltarti e può fare assist, può tirare. Quindi se non avessi budget, per l’Inter prenderei subito Vinicius.

Recentemente in un programma sportivo hai dichiarato che l’allenatore in una squadra è importante all’80%, perché ne sei così tanto convinto?

Sì, poi dopo questa dichiarazione è venuto fuori un casino, perché mi hanno scritto tutti: “allora se Guardiola va alla Salernitana vince il campionato?”. In verità non è così. Io non penso che anche il migliore allenatore al mondo messo in una squadra che comunque non ha qualità, non è che vince la Champions League. Quello che dico io, per la mia esperienza, è che l’allenatore nel calcio moderno – e io parlo di calcio moderno non di calcio degli anni ‘90 che era totalmente un altro calcio – ora le partite, gli allenamenti si preparano al dettaglio, cioè tu, oggi, cosa che non succedeva neanche dieci anni fa, ti filmi l’allenamento e poi il giorno dopo, prima dell’allenamento successivo, te lo riguardi, te lo fanno rivedere, ti analizzano.

Una volta non era così, non c’era tutta questa tecnologia. Adesso ci sono tutti i dati dei GPS, i dati del cardio, riesci a vedere qualsiasi tipo di giocatore online per studiarlo. L’allenatore moderno, un allenatore di alto livello, sicuramente incide tantissimo. Ad oggi, l’allenatore è il capitano, è il capo, è quello che deve essere psicologo, deve essere tecnico, deve essere tattico, deve gestire 25 personalità più tutti quelli che ruotano intorno. E un allenatore di alto livello deve essere bravo in tutte queste cose.

Qui poi c’è chi è un fenomeno in tutte queste cose qui e non sono quelli che poi vincono per caso, come Guardiola, Klopp, adesso anche Xabi Alonso che ha fatto vedere una cosa incredibile quest’anno con una squadra di un buon livello ma non con i nomi del Dortmund o che ha il Bayern Monaco. Io dico che un allenatore forte riesce a far rendere una squadra molto di più rispetto a quello che poteva essere tanti anni fa che il giocatore di alto livello era quello che faceva la fortuna dell’allenatore.

Adesso secondo me è il contrario, l’allenatore deve avere tanta qualità per poi dare indicazioni giuste per preparare il giocatore, preparare la partita, per preparare anche una eventuale vittoria o sconfitta perché poi anche quello incide nel cammino di un campionato. Deve essere un po’ un allenatore a tutto tondo rispetto a com’era tanti anni fa: diceva 4-4-2, andate sul fondo, mettete il cross. Questo facevano gli allenatori di 15 anni fa, quando ho iniziato a giocare io. Dopo c’è stata un’evoluzione, quindi dico che l’allenatore incide tanto, poi se l’80-70%, non è neanche giusto fare una percentuale però incide tanto. Per questo non dico che se Guardiola va alla Salernitana vince il campionato, però sicuramente se Guardiola va alla Salernitana, tutti i giocatori della Salernitana migliorano e rendono molto di più, questo sicuro.

Secondo te, qual è il plus messo da Inzaghi nell’Inter negli ultimi 3 anni?

Inzaghi è stato intelligentissimo a capire il livello della squadra, perché la squadra è una squadra forte e lui ha capito come doveva gestire i giocatori. Poi è un allenatore che, insieme al suo staff, prepara bene le partite, dà indicazioni che cambiano anche a seconda dell’avversario che incontra. Io mi ricordo quando giocavo per lui, che ogni partita la preparavamo tatticamente in maniera diversa a seconda dell’avversario, cosa che magari tanti allenatori non fanno. Lui ha capito l’importanza di avere questi giocatori, è molto bravo a gestirli, nel senso che è un allenatore con cui si riesce ad entrare in confidenza, è empatico verso il giocatore. Quindi magari il giorno in cui il giocatore non sta bene o ha un problemino, lui capisce come può gestirlo, non con le bastonate ma mettendosi nei panni del giocatore, aiutandolo in quel momento lì.

L’empatia è la sua più grande qualità, per questo ha un rapporto con i giocatori molto forte e lo si vede. Lo si è visto anche nei vari festeggiamenti, nei vari meme che vengono fuori in internet… insomma è sempre apprezzato dai giocatori e questo è importante.

Rimanendo in tema allenatori, tu ormai hai lasciato il calcio professionistico, ma c’è un tecnico tra quelli attuali con cui ti sarebbe piaciuto lavorare, per filosofia di gioco, per mentalità….?

Ti dico 3 allenatori. Uno è scontato ed è Guardiola. Sarebbe stata una bellissima esperienza. Ogni tanto su internet esce qualche video della sua vita di spogliatoio, come dà indicazioni… e sicuramente sarebbe stata una bella esperienza. Poi dico De Zerbi. De Zerbi che tra l’altro, anni fa, al mio procuratore avevo chiesto se c’era possibilità di andare al Sassuolo quando lui era al Sassuolo, perché ha idee di calcio che a me piacciono: questo grande palleggio, grande possesso… e a me sarebbe piaciuto vedere o provare le sue metodologie. Ad oggi, ti dico anche Xabi Alonso perché ha fatto un campionato incredibile. È nuovo nel panorama mondiale degli allenatori però, nei prossimi anni, credo riuscirà a fare una grande carriera.

Allenatori attuali, tu hai giocato con Daniele De Rossi, ti aspettavi la sua chiamata alla Roma post Mourinho e che potesse fare già così bene, vista la precedente esperienza alla Spal?

Ho avuto la fortuna di giocare con Daniele in Nazionale e ricordo un bravissimo ragazzo, eccezionale. Si vedeva già che aveva un po’ l’indole da allenatore in campo, nella gestione anche personale del pre-partita, il post partita, gli allenamenti, si vedeva che aveva dentro quel “fuoco da allenatore”, come lo chiamo io. Dopo l’esperienza alla Spal sinceramente non mi aspettavo che potesse arrivare subito alla Roma. Però la Roma ha fatto una scelta molto giusta, da quel punto di vista. Con Mourinho non stava andando bene e la piazza era molto sfiduciata e arrabbiata.

La scelta di Daniele è stata di cuore, nel senso, io metto un allenatore romanista purosangue e provo a riaccendere gli animi della piazza. E questo ha funzionato. Poi lui, secondo me, è bravo a creare dei rapporti molto saldi con i giocatori, non solo per le dichiarazioni che leggo ma anche per il modo in cui si interfaccia con i giocatori in campo, a fine partita, nel pre-partita… Da ex calciatore, questo lo si nota subito e questo ti porta a far sì che i giocatori giochino molto per te. E questo è fondamentale perché secondo me, rispetto a prima che i giocatori giocavano contro Mourinho, o comunque non giocavano con Mourinho, perché il rapporto si vedeva che era ormai arrivato alla fine, in questo momento, i giocatori giocano per Daniele. E questo è anche il motivo per cui sta facendo così bene.

Tornando alla tua carriera, nel gennaio 2017, sei passato in prestito all’Hull City . Da giocatore, qual è la principale differenza tra Premier League e Serie A?

È stata una delle esperienze più belle della mia carriera perché ho avuto modo di capire e di vivere un calcio che, se ci giochi e se lo vivi, capisci perché è il primo calcio a livello mondiale, perché girano tutti quei soldi e perché tanti giocatori vogliono andare a giocare in quel campionato. Lì c’è questa grandissima passione, una passione sana rispetto al campionato italiano, lì c’è proprio una passione sana per lo sport. Tutti i tifosi cercano di sostenere la squadra in tutti i momenti. Ti faccio un esempio, l’ultima partita quando siamo retrocessi con l’Hull City, tutti noi naturalmente eravamo nello spogliatoio tristi. Dopo un quarto d’ora, i tifosi ci chiamano fuori. Io abituato con l’Italia ho pensato “adesso ci contestano, ci insultano”. Invece, ci hanno fatto fare il giro del campo, tutti quanti ci hanno applaudito, tutti quanti.

Io penso che in Italia, non succede quasi mai che il giorno della retrocessione, dopo un quarto d’ora, ti chiamano fuori i tifosi per fare il giro del campo. Ecco, questo riassume un po’ quello che è il sentimento del calcio inglese, oltre che comunque c’è l’atmosfera, i campi, gli stadi bellissimi…

C’è una squadra italiana che ti ricorda un po’ l’Hull City di allora?

Forse anche per situazione di classifica, il Sassuolo. Noi eravamo all’epoca una squadra che aveva talenti ma aveva tantissimi giovani che è sempre stata la filosofia del Sassuolo e noi eravamo in zona retrocessione come lo è il Sassuolo adesso. Io spero che il Sassuolo si salvi perché è una squadra che mi è sempre piaciuta anche per il progetto calcistico che ha avuto negli ultimi anni.

L’Hull City è oggi nella Football League Championship inglese che equivale alla nostra Serie B. Chi sta giocando in B è il Bari, ha speranze di salvezza secondo te?

Spero di sì. Al Bari ho vissuto la prima tappa importante della mia carriera. Ho tantissimi amici, che tra l’altro ho sentito anche qualche giorno fa per capire com’era l’ambiente giù e spero di sì perché comunque ha una piazza importantissima, che quando le cose vanno bene fa 50-60.000 spettatori con lo stadio che è meraviglioso, ormai un po’ datato, però è lo stadio di una squadra importante. Hanno diversi problemi, quest’anno non è andata bene però per me è una squadra e una città dove ho tantissimi ricordi bellissimi. Poi, fortunatamente, quando ho giocato lì a Bari, abbiamo fatto due ottimi campionati, abbiamo vinto la Serie B e l’anno dopo in Serie A siamo arrivati al 10º posto. Mi auguro che riesca a salvarsi.

Oltre al Parma e probabilmente il Como, quale squadra ti piacerebbe rivedere in Serie A tra quelle che sono in lizza per i playoff?

Mi piacerebbe il Palermo. Oltre ad esserci un mio amico, Brunori, che gioca lì ed è del mio paese e sta facendo molto bene, è un’altra città che ha grande storia, ha un grande pubblico e poi a Palermo ho sempre dei bei ricordi perché ho sempre fatto delle belle partite.

A livello di paragoni, tu sei stato accostato spesso a Marco Materazzi, altra colonna della difesa interista. Siete entrambi ora ex calciatori, quindi possiamo tirare le somme: confronto corretto o c’è qualche altro giocatore in cui ti sei indentificato di più?

No, secondo me non è corretto per niente. Per me, mi mettono al paragone con lui solo per il fisico, solo per quello. Marco oltre che ha vinto molto molto più di me, ha caratteristiche tanto diverse. Lui è un giocatore molto aggressivo, molto fisico, io invece sono stato un giocatore più pensante, lui era molto più deciso… Secondo me, abbiamo caratteristiche totalmente diverse anche a livello mentale.

Io ho sempre avuto come idolo Nesta, seppur anche lui aveva altre caratteristiche rispetto a me. A me piaceva fare le scivolate e lui è un mago delle scivolate, quindi più lui. Però credo che ogni giocatore sia diverso, poi si possono fare dei paragoni, magari chi ha la stessa altezza o lo stesso peso come possiamo averlo io e Marco o altre caratteristiche… Il confronto tra me e Marco secondo me non è giusto, lui è stato un giocatore molto più importante di me nel panorama sia italiano che internazionale, poi ha vinto un mondiale, è difficile far paragoni.

Hai chiuso la tua carriera nel Monza, arrivando nell’anno della sua promozione in A. La tua esperienza qui è durata qualche mese, ma quali sono le principali differenze che hai notato dal passare da una big a un club neopromosso?

Tantissime, non son paragonabili secondo me, seppure il Monza è una squadra tra le piccole perché veniva dalla serie C, poi la Serie B, ha fatto un percorso per arrivare in serie A importante, e sta investendo tantissimo sia nelle strutture che nei giocatori. Le differenze sono tante: altri budget, altre strutture, altri giochi, altri livelli di giocatori non c’è paragone. Una delle cose che ho notato di più e anche quella per cui ho fatto fatica un po’ ad ambientarmi, è che venivo dall’Inter, da una squadra con giocatori di alto livello quindi anche i confronti che avevi con quei giocatori in spogliatoio erano diversi rispetto a quelli che avevo con il Monza che era uno spogliatoio, quando sono arrivato io, fatto di ragazzi veramente giovani, alcuni avevano anche 15 anni meno di me.

Non dico che mi sono trovato male, perché sono stati tutti molto bravi con me, ho subito allacciato i rapporti però la differenza di discorsi all’interno dello spogliatoio era diversa ma esclusivamente per esperienza calcistica diversa. Chi è abituato a giocare determinate partite, chi è abituato a vestire una maglia che deve vincere tutte le domeniche, che deve alzare trofei e che ha alzato trofei e chi no, cambia tanto anche a livello umano.

Meglio la coppia Berlusconi-Galliani o Moratti-Ausilio?

È difficile. Parliamo di personaggi che hanno fatto la storia del calcio e anche la storia d’Italia in determinate occasioni, quindi è difficile. Dico la verità, ho avuto modo di lavorare con Galliani, con Berlusconi anche in parte, ma purtroppo se n’è andato qualche mese dopo che io sono andato via, ma ho avuto la fortuna di conoscerlo. Nel calcio, io non so se ho conosciuto due persone come Galliani e Berlusconi. Non credo. Il livello è veramente alto, anche a livello umano. Faccio un esempio per essere un po’ più chiaro. Un anno fa, avevo già smesso da sei-sette mesi, ho fatto un’intervista su un giornale e ho parlato bene del dottor Galliani. Era un giornale nazionale però non è che fosse un’intervista da prima pagina.

Quando è uscito il giornale, dopo 2 ore, il dottor Galliani mi ha mandato un messaggio: la ringrazio – perché dà sempre del lei – per come si è espresso su di me. Quando capita che fai un un’intervista normale su un giornale normale, e Galliani che credo abbia 750.000 interessi al giorno, ha cose da curare, trova il tempo di scriverti un messaggio per ringraziarti? Non esiste nel mondo del calcio, non esiste in generale quindi ti fa capire il suo valore umano. Dall’altra parte c’è comunque Marotta, c’è Ausilio, ho avuto la fortuna di conoscere Massimo Moratti che è un’altra famiglia storica. Sono persone di un livello differente, faccio fatica a dirti chi sia meglio, è non è giusto.

Andando nello specifico, la tua fine carriera è arrivata nel 2022, a 34, se non ci fosse stato l’infortunio, avresti maturato la stessa decisione a fine stagione o avresti provato a prolungare la carriera di qualche anno come hanno fatto Totti e Buffon?

Bella domanda! L’infortunio ha inciso al 90% sulla mia decisione. Io ero stanco, anche a livello mentale, non avevo più quell’entusiasmo di qualche anno prima, mi pesava andare al campo a fare allenamento, mi pesavano le trasferte e avevo questi sentori un po’ strani. Che poi è stato anche difficile da capire da parte mia, perché dicevo: io ho fatto questo per tutta la vita, mi son sempre divertito e adesso che sta succedendo? Ti destabilizza anche a livello personale, interno.

Poi l’infortunio ha inciso tanto, nel senso che io sapevo che dovevo star fuori tre-quattro mesi, sapevo che comunque ci sarebbe voluto, per l’età che avevo e per il fisico che ho, un mese e mezzo per tornare a essere competitivo e mi sarei trascinato fino a febbraio così, visto che era successo a fine agosto.

Quindi lì ho maturato la decisione. Ho chiamato il dottor Galliani, ho detto: “guardi è inutile che la prendo in giro, se lei accetta io rescinderei e la finiamo così”. A malincuore, perché mi è dispiaciuto fare quella chiamata perché lui credeva tanto in me, però comunque a livello societario non avrebbe inciso molto, il mercato era aperto e loro avrebbero dovuto comprare un altro giocatore al posto mio. Infatti hanno comprato Izzo.

Io sarei tornato a febbraio, quindi c’era un’altra finestra di mercato e loro potevano mettere mano. Per loro non è stato un danno il fatto che io abbia rescisso, però anche lì, lui (Galliani n.d.r) si è comportato da signore e abbiamo trovato un accordo. Se non ci fosse stato l’infortunio probabilmente avrei terminato l’anno che avevo, ma non so se avrei continuato. Ero stanco, non avevo energie, la passione si stava spegnendo, forse si era già spenta del tutto e ho preso la palla al balzo.

Forse non tutti lo sanno ma, nel 2014, hai avuto la possibilità di trasferirti alla Juve. Poi è saltato tutto, sei rimasto all’Inter e lì hai fatto 11 anni. Ipotizzando uno sliding door, hai mai immaginato come potesse essere la tua carriera e la tua vita a Torino?

Negli anni successivi, tante volte me lo sono immaginato perché comunque quegli anni lì all’Inter sono stati veramente difficili, per tutti. Cambi società, cambi allenatore in continuazione, i giocatori che vengono e vanno… sono stati anni veramente difficili. Io ho fatto esclusivamente una scelta di cuore, senza andar dietro a pensare che avrei potuto vincere cinque, sei scudetti, finali di Champions, Coppa Italia altri trofei, e più soldi, perché la Juventus mi offrì più soldi di quelli che mi avevano offerto l’Inter. C’ho pensato un po’ perché era giusto pensarci e non prendere una decisione in 2 minuti. Però era l’anno in cui Pupi avrebbe smesso, avrei vestito la fascia da capitano all’Inter, e a quanti capita di avere un’opportunità così? A pochissimi, non stanno sul palmo di una mano. E allora mi sono detto voglio rimanere all’Inter, voglio vincere all’Inter. Ho aspettato tanti anni per vincere, però alla fine ce l’ho fatta.

Tra l’altro, questa domanda me l’ha fatta un mio amico, a cena, qualche giorno fa. E ti ripeto, non ho nessun tipo di rimorso per la scelta che ho fatto, anzi, essere ricordato ad oggi dai tifosi interisti per come sono ricordato, per come sono accolto, per l’esperienza che ho avuto all’Inter e per il fatto che sono riuscito a vincere anche solo un campionato con l’Inter, per me ha ripagato tutto. Tutti gli anni brutti sono completamente oscurati da queste emozioni.

Hai fatto parte dell’Under-20, dell’Under-21 e della nazionale maggiore. Tra qualche mese cominciano gli Europei 2024, cosa ti aspetti dalla nazionale di Spalletti? Può puntare alla finale?

A saperlo (ride n.d.r.)! È una squadra che ha qualità anche davanti adesso. Scamacca è un giocatore importante per la Nazionale e a me è sempre piaciuto. È un giocatore che ha fisico, velocità, tiro, quindi a me piace molto. In generale è una squadra che ha qualità e ha giovani giocatori di esperienza. Poi c’è da dire che c’è un blocco di giocatori che fanno parte dell’Inter, Dimarco, Barella, Bastoni, Acerbi.. avere un blocco squadra di tanti giocatori che quest’anno hanno fatto così tanto bene, inciderà tanto. Incide tanto in senso positivo in una nazionale, come all’epoca, quando c’era il blocco Juve: Bonucci, Barzagli, Chiellini, Buffon, Marchisio, Pirlo… insomma si sentiva che era una nazionale forte.

Poi dopo sapere se riuscirà ad arrivare in finale o vincere questo è difficile. La Francia è forte, l’Inghilterra è forte, la Spagna è forte, dovranno scontrarsi con la Germania… Non lo so sinceramente. Non siamo gli outsider perché siamo ancora i campioni in carica, però c’è stato un cambio allenatore, c’è stato anche un rinnovamento della squadra perché sono andati via Chiellini, Bonucci e sono subentrati nuovi giocatori. Secondo me se la può giocare benissimo. Poi l’allenatore è molto bravo, un allenatore che per la nazionale è perfetto quindi sicuramente se la possono giocare. Però ci sono anche gli avversari e ci sono delle stelle, Bellingham nell’Inghilterra, Mbappé con la Francia… questi sono giocatori che spostano tanto anche nelle partite dentro fuori.

Rimanendo sempre su un tema attuale e che merita un approfondimento: caso Acerbi/Juan Jesus. Senza chiederti di schierarti, cosa ne pensi del razzismo nel mondo del pallone? Sta peggiorando o le iniziative intraprese negli ultimi anni miglioreranno la situazione ?

Secondo me no, non sta peggiorando. Un po’ di anni fa era peggio. Anche all’interno di uno stadio si sentivano tanti buu razzisti da parte dei tifosi. Il problema è che non sta migliorando, non sta migliorando così tanto. Purtroppo, il problema è culturale, il problema proviene da fuori del mondo del calcio. Poi diciamo è quello in cui risalta di più perché è lo sport nazionale, è la terza economia del Paese, gira tanto intorno al calcio. Ma il problema è culturale, il problema è che l’ignoranza in giro è tantissima.

Queste nuove generazioni sono meno controllabili, le nuove generazioni cioè parlo di ragazzi dai 13-14 anni fino ai 25-28 anni, con l’avvento dei social hanno un buco di valori, di modi.. Sembra tutto troppo facile. Per tornare alla domanda, sicuramente sia la Lega calcio che tutte le società stanno prendendo di petto questa situazione, la FIGC uguale con tutte le iniziative che sta facendo, però non è purtroppo una cosa che vedo ha dei miglioramenti importanti.

È migliorata rispetto a qualche anno fa perché c’è molta più prevenzione, parlo di prevenzione perché purtroppo è come una malattia, come un virus che si incunea dentro le persone, però c’è ancora c’è tanta strada da fare. Se a livello calcistico ci sono in un anno 3-4 episodi, come Maignan a Udine, ma anche Vinicius in Spagna, il caso Acerbi-Juan Jesus, per far sì che si migliori il problema, si deve partire dalla parte educativa, deve partire da casa, dalle scuole… ci si sta lavorando ma c’è tanta strada da fare.

Questa aggressività a volte eccessiva in campo, pensi possa essere data dalle troppe pressioni sui calciatori?

Il calciatore, ad oggi, ha pressioni dieci volte tanto di quelle che potevano essere 7-8 anni fa perché adesso con questi social il calciatore è raggiungibile subito, cioè in un secondo tu puoi raggiungere un calciatore nel mondo con un click, con un messaggio. Poi non è detto che lui ti legga o che lui ti risponda, però tu intanto lo raggiungi e tanti calciatori, me compreso, si leggono la posta di Instagram. C’è chi magari ti fa i complimenti, chi ti insulta, chi esagera, chi ti dice “io ho scommesso su sta partita qui, mi raccomando, mi sono giocato casa”… Quindi tanta, tanta pressione, tantissima. Prima in Italia si diceva che c’erano 60 milioni di allenatori adesso ci sono 60 milioni di allenatori e 60 milioni di giornalisti cosa che prima non era così, perché c’era il giornale e tu dovevi leggere le pagelle del giorno dopo, le dichiarazioni del giorno dopo..

Adesso tutti sono giornalisti, tutti possono scrivere qualsiasi cosa, tutti possono arrivare a qualsiasi giocatore con due righe. E quindi il calciatore ha tanta più pressione che poi purtroppo sfocia in campo. Per tanto tempo non succede niente, poi c’è il giorno in cui il calciatore è stressato, stanco, la partita è storta, non sta andando bene, e sfocia in atteggiamenti, non dico solo dal punto di vista razzista perché poi fortunatamente abbiamo pochissimi episodi, ma dal punto di vista caratteriale, di un brutto atteggiamento come l’essere aggressivo contro l’arbitro, contro un altro giocatore, contro un compagno, contro il pubblico. Quindi sì, è sicuramente dovuta a questa grande pressione che i calciatori hanno molto di più rispetto a una volta.

Questa è anche una delle motivazioni per cui i giovani hanno difficoltà nel nostro campionato?

Sì, anche, è una delle motivazioni. In più adesso, appena un ragazzo giovane fa due partite bene o viene convocato con la prima squadra o fa un gol tra i professionisti, viene subito paragonato da centinaia di migliaia o anche di milioni di appunto pseudo giornalisti, pseudo tifosi o tifosi al top player: ecco il nuovo Messi, il nuovo Ronaldo, il nuovo Zanetti, il nuovo Maldini. E il ragazzo giovane così viene subito messo sotto pressione e anche per questo vediamo sempre meno talenti italiani uscire fuori. Un altro problema è a livello di settore giovanile, tutte le strutture sono di basso livello, tutto quello che resta del mondo giovanile è veramente in grandissima difficoltà.

C’è qualcuno invece tra i giovani talenti di oggi che ti ha impressionato per come ha affrontato fin da subito il nostro campionato?

Scalvini è un giocatore che mi piace molto, ha circa vent’anni. Giocatore di prospettiva anche a livello nazionale.

A proposito di talenti giovanissimi, tuo figlio ha iniziato a giocare a calcio. Se ti dovesse comunicare che da grande vuole fare il calciatore, saresti contento o preferiresti che il calcio rimanesse uno svago? Da padre, non saresti un po’ preoccupato per le possibili pressioni, visto anche il cognome che porta?

Ha iniziato a settembre e sono contento che abbia iniziato. Ma non tanto perché chissà cosa deve fare o dove deve arrivare, non è quello che mi importa ma perché il calcio so che può dare tanto a un ragazzo, può dare regole, può dare divertimento, anzi forse prima divertimento poi regole, quindi sono contento. Poi tanto non è lui che decide se riesce a diventare un calciatore. Sì, certo, sarei contento, però non sono sicuramente il padre che gli mette pressione per andare a giocare o perché chissà cosa deve diventare.

Da padre, l’importante è che sia contento, si diverta, che faccia amicizia perché deve essere così. Purtroppo, adesso per la prima volta dopo tanti anni, perché prima ero un bambino che giocava, adesso sono un genitore che accompagna il proprio figlio a giocare, mi sto scontrando con una realtà genitoriale dei settori giovanili che fa paura perché c’è tanta pressione. E tante famiglie mettono pressione al proprio figlio perché chissà cosa deve diventare. Ci sono tanti genitori che mi chiamano e mi dicono vieni a vedere mio figlio, dammi una mano, cosa devo fare perché è bravo… io non posso fare niente. C’è un percorso, se è bravo arriva in qualche modo, non c’è bisogno né di prendere il procuratore a 14 anni, né di farlo venire a vedere da chissà che osservatore.

Se è bravo qualcuno lo vede e se è bravo arriva a giocare in Serie A o comunque tra i professionisti. È solo che tante famiglie mettono tantissima pressione sui propri bambini e lì creano dei danni enormi, io questo non lo farò mai. Se lui sarà bravo e se lo meriterà, arriverà a giocare tra i professionisti, se no farà altro, l’importante è che sia felice.

Opinionista, podcaster, imprenditore nella tua Umbria ma Andrea Ranocchia nel mondo del calcio lo rivedremo? Eventualmente in quale ruolo?

Non lo so ancora. C’ho pensato e ci sto pensando. Se dovesse essere sicuramente allenatore, non mi vedo sotto un altro ruolo nel mondo del calcio. Però per fare l’allenatore serve tantissima passione, serve tantissimo entusiasmo, serve che comunque ti dedichi di nuovo a una vita particolare. E io, in questo momento, sinceramente non ho né voglia, né passione per farlo. Vediamo magari nei prossimi tempi, io adesso mi sto godendo la famiglia, i vari investimenti che ho fatto in giro, vado a Mediaset ogni tanto a fare il commentatore, il podcast con l’Inter insomma faccio un po’ il freelancer e mi sta bene.

Domanda secca conclusiva: Maradona, Pelè o Ronaldo il fenomeno?

Messi (ride, n.d.r). Quando vedo su internet le skills di Ronaldo il fenomeno, dico questo qua è un alieno, è di un altro pianeta. Con tutto il rispetto per tutti gli altri, cioè Messi ha vinto molto di più, ha fatto molti più gol, CR7 idem. Però Ronaldo il fenomeno faceva paura, faceva paura veramente.

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