Intervista esclusiva: lo psicologo Luca Notarianni su gioco patologico e…

Intervista esclusiva allo psicologo Luca Notarianni. Approfondimento sul gioco d’azzardo patologico, i segnali e i sintomi, lo sviluppo della patologia, i fattori che la condizionano, la situazione dei giovani oggi nei confronti del gioco, le mosse del governo a riguardo, la strada da intraprendere per uscirne e molto altro.

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Il podcast di Siti scommesse, edizione speciale
Qui puoi trovare l’intervista integrale che la nostra redazione ha realizzato in esclusiva con lo psicologo Luca Notarianni.

Iniziamo proprio col definire questa patologia: come si riconosce il gioco responsabile dal gioco problematico?

La differenza principale è l’impatto che il gioco ha sulla vita della persona. Banalmente, quindi, nel gioco responsabile abbiamo un individuo sul quale il gioco d’azzardo non ha un impatto molto forte sulla propria vita. Cosa intendiamo? Prendiamo le scommesse. Il denaro investito nel gioco d’azzardo è irrisorio o comunque quasi nullo rispetto alle disponibilità economiche della persona. Il gioco è molte volte un gioco sociale, ovvero viene utilizzato per stare in compagnia, e a livello quantitativo è un gioco saltuario.

Il gioco d’azzardo problematico, a volte erroneamente, viene definito ludopatia che è un termine che viene molto usato dai media e non sta molto simpatico alla comunità scientifica. È un termine che utilizziamo anche noi per far capire velocemente di cosa stiamo parlando, però è fuorviante, perché il termine ludopatia, a livello etimologico vuol dire dipendenza dal gioco, ma ludus è il gioco sano, quello dei bambini per capirci. La differenza è che quello è un gioco la cui finalità è il gioco stesso, ovvero il trascorrere del tempo divertendosi, senza pensare a una vittoria o una sconfitta finale, mentre il gioco d’azzardo ha delle caratteristiche che sono proprio il contrario. C’è un prodotto finale che è la somma da vincere, oltre al fatto che poi il come vincere o non vincere questa somma ha a che fare con delle probabilità, a volte, così basse, connesse più al caso e alla fortuna che a determinate abilità del giocatore.

Quindi, per questo, parliamo di gioco d’azzardo problematico o di disturbo da gioco d’azzardo quando c’è una vera e propria dipendenza. Le caratteristiche rispetto al gioco responsabile qui si capovolgono completamente: le somme investite dalla persona sono di più rispetto a quelle che si può permettere e il gioco non è saltuario ma quotidiano. Il gioco diventa una parte fondamentale nella giornata della persona che, al massimo, può passare un paio di giorni senza giocare. Il gioco ha un ruolo centrale e molto spesso non è un gioco sociale. Come dicevo all’inizio, l’impatto sulla vita della persona diventa molto più problematico perché va a intaccare, oltre la parte economica, anche le relazioni sociali. Queste sono le principali differenze con le quali possiamo riconoscere chi gioca responsabilmente da chi, invece, magari, sta sviluppando un problema col gioco d’azzardo.

Sappiamo che il gioco d’azzardo patologico ha un’evoluzione graduale. Ci può illustrare quali sono le principali fasi? Ci sono dei sintomi o dei segnali dai quali si può riconoscere?

Assolutamente sì. Il gioco d’azzardo come poi tanti disturbi del comportamento, perché il gioco d’azzardo è inquadrato all’interno dei disturbi del comportamento, ha un’evoluzione graduale. Ovviamente quando parliamo di fasi e di evoluzioni nei disturbi non dobbiamo mai considerarle come un qualcosa di rigido con dei paletti dove si inizia una fase e finisce un’altra. Così come quando parliamo di categorie, ci tornano utili per capire di cosa stiamo parlando e per inquadrare la situazione.

Sono fasi che sono molto più fluide, i confini sono molto più morbidi, quindi le persone magari oscillano tra una fase e un’altra. Ci sono tantissime sfumature, non è una cosa netta. Questa è una precisazione che volevo fare. Tornando alla domanda, è un’evoluzione graduale, che ha a che fare con una prima fase. In genere viene chiamata la fase vincente, ovvero il giocatore d’azzardo conosce una fase dove incontra una vincita e, molto spesso, è anche una grande vincita. Per grande vincita non dobbiamo pensare per forza a una quantità di denaro enorme, è una grande vincita rispetto alla situazione economica della persona.

Quindi una vincita grande per la persona in questa fase instaura quelli che vengono chiamati bias cognitivi, ovvero una serie di pensieri a volte illogici, se vogliamo semplificare, un po’ “magici”, rispetto al gioco d’azzardo: ho fatto una grossa vincita, prima o poi mi succederà di farne un’altra. Ovviamente tra queste due vincite, c’è la seconda fase che è la fase delle perdite, dove ci sono tutta una serie di perdite delle quali molte volte la persona non è molto consapevole. Questo è un altro bias cognitivo molto diffuso tra i giocatori d’azzardo che tendono a prendere in considerazione soltanto le vittorie, ma non a pesare le sconfitte.

Queste fasi portano a quella che è la fase cruciale dell’evoluzione del disturbo del gioco d’azzardo, quella che viene definita chasing, ovvero la rincorsa delle perdite dove la persona non gioca più. Come abbiamo detto in precedenza, non diventa più un gioco, perché nel gioco d’azzardo, come in tanti altri disturbi del comportamento, comunque c’è una dimensione di piacere da parte delle persone soprattutto all’inizio: una persona tende a ricercare in quel comportamento la soddisfazione di un divertimento, di un piacere, di qualcosa di piacevole. In questa dimensione però più si va avanti e più diventa piccola, fino ad uscire completamente dal rapporto della persona con il gioco d’azzardo.

Nella fase della rincorsa delle perdite la persona non gioca più per giocare, ma gioca esclusivamente per recuperare tutti i soldi che ha perso in precedenza. Questo attiva tutta una serie di azioni, soprattutto legate al controllo degli impulsi, che aumentano la criticità della persona, perché nel cercare di rincorrere le perdite, ovviamente queste aumenteranno. Qui si instaura un altro bias cognitivo: prima o poi andrà bene, prima o poi vincerò di nuovo e riuscirò a sanare tutte le perdite che ho affrontato. Questa è la fase cruciale perché entrano in gioco quelle che sono le tre caratteristiche principali della dipendenza: tolleranza, astinenza e craving, che sono quelle tre dimensioni che portano la persona a sviluppare un disturbo da gioco d’azzardo.

Lo psicologo Luca Notarianni

Lo psicologo Luca Notarianni

La tolleranza, ovvero il bisogno di scommettere sempre più denaro, aumentare la cifra sia per sentire quelle sensazioni di adrenalina, di rischio che si sentivano all’inizio, sia perché scommettendo di più c’è l’illusione che la vincita sarà maggiore e quindi si recupererà più facilmente il denaro perso. L’astinenza, ovvero che una persona decide a un certo punto da sola di smettere di giocare oppure per qualsiasi motivo di vita non riesce più a trovare il tempo per giocare. Se tale persona è arrivata a quel punto in cui stava sviluppando una dipendenza, ci saranno anche delle ripercussioni fisiche e mentali: nervosismo, stress, cali di umore improvvisi, depressione, stati d’ansia, agitazione, ma anche proprio a livello fisico, con tremori e spossatezza.

Questo perché il gioco d’azzardo, anche se non prevede l’utilizzo di una vera e propria sostanza, come tanti comportamenti, agisce sul nostro cervello, soprattutto nella produzione di dopamina e serotonina. La serotonina è l’ormone della felicità, quello che banalmente si dice l’ormone dell’amore. Il gioco d’azzardo agisce su questi ormoni, quindi nel momento in cui la persona smette di giocare e sta sviluppando una dipendenza, può ritrovarsi praticamente con un corpo che smette di produrre questi ormoni.

Il craving è la fissazione rispetto all’oggetto gioco d’azzardo ovvero la persona pensa h24 al gioco anche quando fa altro, quando è al lavoro, quando è in famiglia, quando è col proprio marito, con la propria moglie… . E questo, riprendendo quello che ho detto all’inizio, ha un impatto molto forte sulla vita della persona, perché fondamentalmente non riesce a fare più quello che vorrebbe, perché tutto è inglobato e attratto solo dall’oggetto del gioco d’azzardo.

Queste diciamo sono le due fasi principali che portano poi appunto la persona a stare in questa dimensione di forte dolore, fragilità e criticità nella quale poi si tocca il fondo e si cerca di chiedere aiuto. In tutte queste fasi, prima si interviene e più facile è aiutare la persona.

Quanto influiscono genere, età e condizioni economiche nello sviluppo del gioco d’azzardo patologico?

Nello sviluppo di un disturbo influisce tutto. Partiamo dal presupposto che sviluppare una dipendenza è sempre un fenomeno complesso, non è mai un fenomeno semplice. A volte, si tende a semplificare quando parliamo di persone che hanno sviluppato una dipendenza dando la colpa alla persona: ha sviluppato una dipendenza perché era fatto così. No. Sviluppare una dipendenza ha a che fare sia con la persona, perché ognuno di noi ha delle inclinazioni diverse, ha una personalità diversa, quindi c’è chi è più sensibile e chi meno a determinate azioni e determinati comportamenti, sia con le risorse che noi sviluppiamo durante la nostra vita. E con questo intendo tutto il sistema ecologico ovvero dove una persona è nata, in che contesto sociale è vissuta, quali sono state le reti sociali che ha sviluppato, le reti familiari… .

Ad esempio, sappiamo a livello di ricerche, che avere in famiglia un’altra persona che ha un problema col gioco d’azzardo, aumenta l’incidenza da parte dei figli di sviluppare in età adulta anche loro un problema col gioco d’azzardo. Parliamo di fattori di rischio che sono molto complessi, quindi l’età, ad esempio influisce molto. Anche qui, dalle ricerche sappiamo benissimo che più bassa è l’età in cui la persona entra in contatto con il gioco d’azzardo, più alto è il rischio che in età adulta sviluppi il problema. Questo perché in età preadolescenziale e adolescenziale, l’individuo non ha le risorse, gli strumenti e le capacità di gestire fenomeni complessi come il gioco d’azzardo, gestire le frustrazioni che ne conseguono, le sconfitte, la gestione dei soldi.

Sul genere non si sa molto. Le ricerche dicono che la maggior parte delle persone che sviluppano un problema col gioco d’azzardo sono uomini, cioè l’uomo ha un fattore di rischio maggiore rispetto alla donna. Però sappiamo benissimo che, soprattutto in società dove c’è un altissimo stigma nell’avere una dipendenza, anche nel gioco d’azzardo, le donne si rivolgono di meno rispetto agli uomini a contesti di aiuto, tendono a nasconderlo di più. Quindi, in realtà, non si sa se il genere impatti così tanto.

Sulle condizioni economiche, invece, come dicevo all’inizio, dipende molto da quanto scommette una persona. Ci sono persone che hanno disponibilità economiche quasi illimitate che poi finiscono con investire nel gioco d’azzardo risorse illimitate. Il problema rimane lo stesso, è importante sempre considerare il rapporto fra quello che ci si può permettere e quello che realmente si investe nel gioco d’azzardo.

Quanti e che tipi di giocatori esistono?

Come dicevo prima, le categorie prendiamole sempre un po’ con le pinze. Negli anni sono state proposte tantissime categorie per inquadrare il giocatore d’azzardo. Nel passato, quando si è iniziato ad analizzare il fenomeno, le categorie erano molto spostate sulle azioni. Per fare un esempio, il giocatore d’azzardo viene definito proprio per azione, cioè quello che lo fa per la ricerca di stimoli, adrenalina, sensazioni che non riesce a trovare in altre altre parti della sua vita.

Altro esempio, il giocatore d’azzardo per fuga, cioè quello che va a giocare per evadere da altri problemi. Adesso invece la letteratura si è spostata su delle categorie che hanno a che fare più sulle motivazioni, quello che c’è dietro. Come in tante dipendenze esiste un oggetto. Quello che fa la differenza è la relazione che la persona costruisce con quell’oggetto. Alcune persone riescono a costruire relazioni che sono comunque sane e controllate, altre invece si perdono.

Ad oggi, quindi, parliamo di tre categorie principali di giocatori d’azzardo. La prima, quello che gioca d’azzardo perché ha incontrato il gioco d’azzardo, ovvero non ha altre problematiche, non ha altre patologie, non ha altri disturbi, semplicemente a un certo punto della sua vita ha incontrato il gioco d’azzardo e sono scattate tutte quelle dinamiche che ho detto in precedenza.

Poi ci sono le persone che giocano d’azzardo ma che in realtà hanno altri disturbi, quindi persone che magari hanno incontrato il gioco d’azzardo in periodi di fragilità, di depressione, di carenza. Il gioco d’azzardo diventa una sorta di sintomo che va a mascherare quelli che sono in realtà altri problemi.

E poi la terza categoria sono i giocatori antisociali, che sono quelli più difficili con cui avere a che fare, poiché sono quelli che hanno, appunto, tratti di personalità antisociali, ovvero ricercano situazioni che spesso vanno contro le regole, contro la legge, che aumentano al massimo l’esperienza a livello di adrenalina e di pericolo. Sono anche quelli che nel gioco d’azzardo prediligono canali illegali e non ufficiali. Queste sono quelle che, in letteratura, sono le tre categorie sulle quali si individuano i giocatori d’azzardo problematici.

Lei prima ha citato gli adolescenti. In un report dello scorso anno stilato dall’Osservatorio di Nomisma, è emerso che il 37% dei ragazzi intervistati in un range d’età tra i 14 e 19 anni, ha fatto giochi d’azzardo o di fortuna, favorendo il canale online nel 64% dei casi. Come commenta questo dato alla luce anche della sua esperienza?

È un dato in linea con quello che osserviamo. Il boom dell’online da un certo periodo in poi ha sicuramente facilitato l’accesso al gioco d’azzardo da parte dei giovani, anche dei minorenni perché, banalmente, prima per poter giocare d’azzardo, ci si doveva rivolgere a un’agenzia dove avendo un rapporto con un’altra persona, i minorenni venivano esclusi. Poi, che non tutti lo facessero rispettare, questo è un altro discorso. Con l’online per un ragazzo o una ragazza è molto più facile aggirare quelli che sono i limiti e lo vediamo anche noi.

Purtroppo il fatto che molti adolescenti entrano in contatto col gioco d’azzardo è un problematica vista sempre in secondo piano, non solo dallo Stato ma anche dalla famiglia. Nella maggior parte delle famiglie, ci si preoccupa che il figlio o la figlia non usi sostanze stupefacenti. Quella è la prima preoccupazione. Il gioco d’azzardo non viene quasi mai menzionato, non viene quasi mai visto come un problema.

Ma prendiamo il caso dei videogiochi sugli smartphone. Sono giochi che comunque contemplano che la persona spenda dei soldi per acquistare delle cose per avanzare più velocemente, per aumentare di livello e queste sono cose che la letteratura sta studiando perché abituano anche il ragazzo più giovane a pensare che il denaro sia una parte importante dell’esperienza del gioco. Questo aumenta di tantissimo i fattori di rischio rispetto al futuro, perché finché si gioca al videogioco e si spende tanto denaro per acquistare una cosa è un conto, quando poi si entra in contatto invece col gioco d’azzardo un altro.

Lei ha detto che a volte il gioco d’azzardo è visto come un problema secondario. È ancora recente però il caso calcioscommesse che ha visto coinvolti Fagioli e Tonali, che hanno qualche anno in più rispetto agli adolescenti appena citati. Come si spiega un comportamento del genere da parte di professionisti che sanno molto bene le regole a riguardo? Si trova d’accordo con chi ha motivato l’accaduto dicendo che era un modo per evadere dalle troppe pressioni che hanno i giovani calciatori oggi?

Il caso dei calciatori Fagioli e Tonali rispetto al calcioscommesse, credo che sia innanzitutto un esempio per dimostrare quello che abbiamo detto prima, cioè il fatto che le ottime condizioni economiche non li abbiano resi immuni dallo sviluppare un problema col gioco d’azzardo. Credo che sia stato Fagioli a rilasciare un’intervista dove ha parlato di noia più che di pressioni ricevute dall’ambiente. E la noia è un elemento che ritorna molto nello sviluppo della dipendenza del gioco d’azzardo e, in generale, nelle dipendenze. La noia è avere del tempo e non sapere come occuparlo. Non riuscire a volte neanche ad accettare il fatto che possiamo avere del tempo libero e non fare nulla e non succede niente.

Avere quel tempo, ci fa entrare in contatto con noi stessi. Le persone non vogliono stare sole e quindi cercano di riempirlo in qualsiasi modo. In questo caso, il gioco d’azzardo, ad esempio, è un fenomeno che aiuta molto ad occupare il tempo alle persone. Quella cosa di Fagioli mi ha molto colpito: un ragazzo giovane che a un certo punto si è ritrovato con tantissimo tempo libero e tantissimi soldi e non sapeva cosa farne né dell’uno e né dell’altro. E si è ritrovato poi a investire quantità molto ingenti di denaro, nel gioco. Quindi quello a cui volevo rimandare usando come esempio Fagioli è proprio al concetto di di noia e a come si decide di occupare il proprio tempo.

Rimanendo in tema calcio, il governo continua ad insistere sul Decreto Dignità, emanato nel 2018, secondo lei ha ancora un senso e una funzione valida per dissuadere dal gioco o bisognerebbe intervenire in un altro modo?

Il Decreto Dignità, così come un po’ tutte le azioni che un Governo prova a fare, è sicuramente qualcosa che deve esserci, perché, soprattutto quando parliamo di fenomeni così diffusi e problematici come il gioco d’azzardo, va a convolgere dai più piccoli fino alle persone più anziane, quindi tutta la popolazione. Bisogna, quindi, per forza attuare delle azioni che vadano verso il controllo o comunque a cercare di ridimensionare il fenomeno. Questo però non basta. Da quando queste misure sono entrate in atto, non c’è un calo rispetto al gioco d’azzardo o allo sviluppo di problemi legati al gioco d’azzardo perché serve altro. Mi sento di dire due cose principali forse che mancano o che dovrebbero essere implementate.

La facilità alle cure rispetto al disturbo del gioco d’azzardo, ora che il servizio pubblico ha inglobato questo tipo di problema. Esistono professionisti che lavorano nel servizio pubblico e che intervengono sul gioco d’azzardo, però è legato a tutta l’area delle dipendenze, quindi non ci sono posti dove si riuniscono solo giocatori d’azzardo.

Quindi diventa difficile convincere il giocatore d’azzardo a rivolgersi a un servizio che, a livello sociale, è legato più ad altro. Servirebbe iniziare a differenziare determinati servizi, soprattutto nelle prime fasi di intervento su un giocatore d’azzardo. La persona ha bisogno di essere seguita molto spesso, di fare incontri anche due volte a settimana e di avere un supporto molto presente. Sappiamo benissimo che il servizio pubblico, per quante risorse possa avere, difficilmente riesce a dare questo tipo di continuità.

Tante volte succede che la persona poi finisce col rivolgersi al privato perché vuole essere seguita di più. Però il problema del privato è che costa e, tante volte, quando qualcuno che ha un disturbo di gioco d’azzardo va a chiedere aiuto, ha già raggiunto quel livello per il quale il denaro è un grosso problema. Di base, quindi, non ha i soldi da investire per una cura privata.

L’altro aspetto importante, secondo me, è quello della prevenzione. La prevenzione, l’informazione fin da giovani, fin dentro le scuole perché sappiamo benissimo che prima si sensibilizza l’individuo a una determinata problematica, più facilmente quell’individuo svilupperà le risorse per poi saper gestire determinate difficoltà. Su questo mi sento di aggiungere però una prevenzione che non si limiti al divieto, cioè a dire “non fare questo perché altrimenti ti succede quest’altro”. Sappiamo bene che, soprattutto quando parliamo con gli adolescenti, puntare tutto sul divieto, in realtà diventa un invito a trasgredire quel divieto.

Io sto parlando di una prevenzione che contempli la sospensione del giudizio, cioè che abbia come obiettivo aumentare le informazioni, informarli sugli effetti, sui rischi del gioco d’azzardo, dargli la possibilità anche di parlare liberamente di queste problematiche e quindi che abbia come obiettivo quello di aumentare la consapevolezza. Questo è un tipo di prevenzione che, in Italia, a volte manca.

Noi invitiamo sempre ad utilizzare solo bookmaker ADM, ovvero quelli legali e approvati dall’Agenzia Dogane e Monopoli. Il motivo, oltre alla legalità in sé e alla sicurezza dei dati, è che forniscono anche un aiuto diretto. Stiamo parlando di 2 funzionalità in particolare, ovvero l’auto sospensione e l’auto esclusione. Qual è il suo parere in merito e pensa siano delle buone tutele per i giocatori?

L’auto sospensione e l’auto esclusione sono delle funzioni molto utili al giocatore anche perché vanno nella direzione in cui si chiede alla persona di fermarsi un secondo e ripensare al gioco, cioè ripensare alla propria relazione col gioco. Se una persona arriva al punto di auto limitare il proprio conto o addirittura sospenderlo con l’impossibilità poi di rifarlo, vuol dire che si è fermata a ragionare e questo non può far che bene.

Quindi che un servizio offra questa possibilità è anche un modo di stimolare le persone. Riprendo però quello che ho detto rispetto al Decreto Dignità: questo è un piccolo pezzettino, ci sarebbe sempre bisogno poi di parlare con quella persona perché probabilmente vuol dire che ha iniziato a ragionare e sta capendo di avere un problema col gioco. E come dicevo prima, questo è esattamente il momento migliore per poter parlare con la persona e poterla accompagnare in un percorso “di cura” perché magari non ha ancora sviluppato una vera e propria dipendenza e si può intervenire in maniera più celere.

Sarebbe bello poter contattare le persone che decidono di auto escludersi o auto sospendersi per capire il motivo per cui lo hanno fatto, che ragionamenti stanno facendo, che problematicità hanno riconosciuto per fare questa cosa. Il rischio è che rimanga poi un’azione fine a se stessa perché anche quella è un’azione che può essere aggirata oppure passa quel periodo e si decide di riprendere.

Questi sono già un valido aiuto, ma se qualcuno si è riconosciuto nei sintomi e nei comportamenti che ha descritto prima o se conosce qualcuno che potrebbe essere un giocatore patologico, quali consigli si sente di dare? Quali sono le prime cose da fare?

Questa è una delle domande che ci fanno più spesso ed è anche una di quelle più difficili a cui rispondere. Quello che si può dire, è che un ruolo cruciale lo svolge la famiglia e la rete sociale della persona. Sono le persone che hanno subito il gioco d’azzardo, familiari o amici, il compagno o la compagna che vengono a chiedere aiuto per la persona che ha un problema col gioco d’azzardo. Quindi, tante volte il lavoro si fa prima “con esterni”, con la famiglia o qualcuno appartenente alla rete sociale, e poi si cerca di arrivare alla persona che ha realmente il problema col gioco d’azzardo. Questo perché, come dicevamo anche in precedenza, c’è un forte stigma nei confronti di chi ha una dipendenza. In generale, le persone tendono a vergognarsi a esporre il problema, a chiedere aiuto. Però questa è una parte cruciale del lavoro perché è proprio quella persona che deve capire di aver bisogno di aiuto.

Si può aiutare chi è intorno a lui, però non si può costringere una persona a intraprendere un percorso. Quello che mi sento di dire è di non vergognarsi quando si pensa di avere un problema perché poi, come abbiamo appunto analizzato in precedenza, sviluppare una dipendenza è un fenomeno complesso quindi non è colpa di nessuno. Chi ha realmente un problema non deve vergognarsi, non deve vederlo come un fallimento. È una cosa che può succedere all’interno del percorso della vita. Ci si ferma, si cerca di chiedere aiuto e poi si riprende in mano la propria vita. Non vergognatevene e parlatene con la persona di cui vi fidate di più.

Cercate di esternare il più possibile, per dare la possibilità a chi è più vicino di aiutarvi. Un’altra cosa che voglio aggiungere è rivolto poi agli stessi familiari o agli amici o a chi è vicino a una persona che ha un problema col gioco d’azzardo: cercare sempre di avvicinarsi creando una relazione di fiducia e non di giudizio. Il giudizio è, purtroppo, qualcosa che allontana e la persona più si allontana, più si isola, più diventa difficile aiutarla e intercettarla in tempo prima che sviluppi magari una una dipendenza o un tipo di comportamento che sarà molto più difficile da andare a sradicare. Capisco benissimo che, a volte, è esasperante stare vicino alla persona che ha un problema da gioco d’azzardo però se vogliamo aiutarlo cerchiamo sempre di stare molto attenti al tipo di giudizi che si esprimono.

Concludiamo con queste 2 ultime domande. Dal disturbo del gioco d’azzardo si può guarire? Qual è il percorso da intraprendere?

A domanda diretta rispondo in maniera in maniera diretta: si può guarire! Quando parliamo di guarigione rispetto a un disturbo, quello che ci dobbiamo togliere dalla testa è il risultato perfetto. Soprattutto quando parliamo di dipendenze, in questo caso di dipendenza dal gioco d’azzardo, quello che pensiamo per guarigione è il gioco zero, cioè, che la persona arriva a un certo punto che non gioca più 1€ in vita sua. Questa è un po’ la fantasia che si ha. È possibile che una persona smetta totalmente di giocare, però, il pensiero rispetto a quella dipendenza, invece è molto difficile che se ne vada. Il lavoro che si fa è quello di abituare la persona ad avere quell’istinto, quel pensiero.

Uno cerca anche di abituare quella persona che è normale che ci siano le ricadute, anzi le ricadute fanno parte proprio del percorso terapeutico quindi si può guarire ma si può guarire in tanti modi. La prima cosa, quella più importante all’inizio di un percorso rispetto al gioco d’azzardo, è quella che la persona recuperi il contatto con la realtà, con la propria vita. Che recuperi soprattutto una serenità economica perché se parliamo di disturbo di gioco d’azzardo parliamo di persone che molto probabilmente si sono anche indebitate.

Infatti, nel percorso del gioco d’azzardo, tante associazioni si avvalgono anche del lavoro di avvocati che aiutano proprio le persone a trovare un modo per ripagare i propri debiti o a risanare la propria situazione economica senza farsi prendere dalla disperazione. Il percorso poi può essere lungo, ma in alcuni casi può essere anche breve. Ripeto quello che ho detto prima, dipende sempre a che punto abbiamo intercettato la persona. Per una persona che inizia a sviluppare un problema non è detto che il lavoro necessiti di anni.

Ovviamente se ha già sviluppato una dipendenza vera e propria, il lavoro è sicuramente meno celere. Però molte volte si ha la fantasia che sia una cosa infinita e faticosa ma così non è, anche perché si coinvolge persino la famiglia. Si cerca di lavorare a 360 gradi fino a che, a un certo punto, il gioco d’azzardo diventa quasi un problema sullo sfondo. Il lavoro che si fa è sempre quello di rafforzare le persone su quelle che possono essere le proprie risorse e i propri strumenti perché nessuno è immune dallo sviluppare un problema ma tutti abbiamo dentro di noi delle risorse e degli strumenti per poterlo affrontare.

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