La storia di Jamie Vardy: da operaio a bandiera del Leicester
Quello del numero 9 e capitano delle Foxes non è stato il classico percorso di chi punta a giocare in Premier League, ma una vera avventura costellata di episodi straordinari. Scopriamo insieme la storia di Jamie Vardy.
Vardy, dalla fabbrica al professionismo
Nel mondo del calcio di oggi, di solito, le storie iniziano quasi sempre nello stesso modo. Si comincia a parlare di un ragazzo che ha talento già dalle squadre giovanili, si viene convocati nella nazionali Under, pian piano monta un hype che, anche con l’aiuto dei social, si fa tam tam potentissimo.
La storia di Jamie Vardy, invece, non ha nulla di convenzionale. Non ci sono video di lui che fa il fenomeno a 12 anni, nessuna squadra Primavera di primo livello, nemmeno una convocazione in una selezione nazionale giovanile. E no, perché James Vardy, mentre i suoi coetanei sognano di giocare un giorno in Premier League e si allenano con le formazioni “youth” al West Ham, al Tottenham, al Newcastle, sembra avere già perso il suo treno nel calcio che conta.
Lo Sheffield Wednesday, la squadra per la quale tifa sin da bambino, la squadra della città in cui è nato, un club storico, fra i più antichi al mondo, decide, quando Jamie Vardy ha appena 16 anni, che non vale più la pena puntare su di lui, che è troppo basso e non è abbastanza forte per continuare a tenerlo nella rosa di quella che in Italia chiamiamo formazione “Primavera”.Il giovane Vardy non si affrange. In realtà non ci ha mai nemmeno pensato davvero, ad arrivare in Premier, per lui il calcio è passione pura, gioia, amore, adrenalina, come quando va in curva a vedere lo Steel City Derby, la partita fra il suo Sheffield Wednesday e lo Sheffield United, un must assoluto nella città dell’acciaio, il cuore della Rivoluzione Industriale d’inizio Novecento.
Non si affrange, Vardy, anche perché è abituato, a conquistarsi tutto con i denti. La sua è un’esistenza di battaglia sin dalla nascita, con il padre biologico mai conosciuto, l’infanzia nella periferia proletaria di Sheffield, una carriera scolastica non esattamente strepitosa e la scelta di andare a lavorare giovanissimo.
Se ne va così a giocare lontano dal glamour del sistema giovanile della Premier, nello Stocksbridge Park Steels, mezz’ora di macchina a nord di Sheffield, in Northern Premier League, l’ultimo livello del calcio professionistico e semi-professionistico inglese.
Lo pagano 30 sterline a settimana e così, per mantenersi, se ne va a lavorare in fabbrica. Di giorno è nella catena di montaggio di uno stabilimento che produce stecche e supporti per utilizzo medico, di sera segna gol, tanti gol, per gli Steels. Alla fine saranno 55 reti in 88 partite durante quattro anni, prima di passare, per un periodo molto breve, da Halifax Town e Fleetwood Town.
Segna 25 gol in 37 partite ad Halifax e poi altri 34 in 42 partite a Fleetwood, in Conference Premier, il quinto livello del calcio inglese, di cui diventa anche capocannoniere, contribuendo in maniera decisiva alla promozione della squadra nella cosiddetta Football League: per Vardy comincia un’altra storia.
L’arrivo al Leicester, la gloria perpetua
Ormai di Vardy, nel sottobosco del calcio di periferia britannico, lo conoscono tutti. Se ne parla così tanto che il Leicester City, allora militante in Championship, la Serie B del calcio inglese, decide di portarlo in squadra.
Per le Foxes è una vera e propria scommessa alla cieca, visto che investe 1 milione di sterline, cifra record per un calciatore non professionista, per portarsi a casa un venticinquenne che sino ad ora ha giocato al massimo nel corrispettivo del nostro campionato nazionale dilettanti.
La prima stagione va così e così. Segna poco, appena cinque gol, sembra fuori forma, i tifosi lo attaccano, lui stesso non si sente abbastanza forte per giocare a quel livello e pensa seriamente al ritiro, a tornarsene al suo calcio di periferia. Non lo fa soltanto perché Nigel Pearson, l’allora allenatore del Leicester City, lo convince che deve avere pazienza, che è forte e che si abituerà a un calcio molto diverso rispetto a quello a cui è abituato.
La pazienza paga. Nella stagione successiva Vardy si prende il posto da titolare nell’attacco delle Foxes, segna 16 gol in 37 partite e viene eletto dai suoi tifosi giocatore dell’anno, nella stagione in cui il Leicester ritorna in Premier League.
Nella prima stagione nel massimo campionato inglese non segna moltissimo, 5 gol in 34 match, ma dimostra che può starci anche a questo livello, prolunga il contratto fino al 2018 e il Leicester si salva comodamente, chiudendo la stagione al quattordicesimo posto.
Fino al 2015-2016, quando succede l’incredibile. In panchina a Leicester arriva l’italiano Claudio Ranieri e le Foxes vanno a vincere il titolo. Vardy segna 24 reti, undici delle quali consecutive, e viene convocato in nazionale, con la quale arriverà anche a giocare gli Europei 2016 e i Mondiali del 2018, senza però mai riuscire davvero a sfondare.
La storia di Vardy continua poi nel solco della passione, della coerenza, della cocciuta testardaggine del ragazzo di Sheffield, che decide di rimanere a Leicester rifiutando tantissime offerte dai club più importanti della Premier, fra i quali l’Arsenal, che insisterà più di tutti per portarlo a Londra.
Vardy rimane anche quando, alla fine della stagione 2023, il Leicester viene retrocesso in Championship: segna 20 gol e riporta le Foxes subito in Premier, dove ha già segnato 2 gol in 4 partite in questo inizio di stagione 2024/2025. Il resto è il solito calcio di Vardy, fatto di intensità e battaglia, di Red Bull e sigarette fumate di nascosto, un calcio che non esiste più e di cui Vardy è uno degli ultimi, forse il più grande, rappresentante.