Storia di Simone Biles, la più grande ginnasta di sempre
Simone Biles ha rivoluzionato il mondo dello sport, non soltanto quello legato al mondo ginnico, con la sue doti atletiche ma anche e soprattutto per la sua straordinaria personalità. Ripercorriamo la sua storia.
Simone Biles, storia di un talento
Quella di Simone Biles, una delle più grandi sportive di sempre, è una storia che comincia in maniera difficile e tortuosa. Nata nel 1997 a Columbus, la città più popolosa dell’Ohio e una delle più razziste degli Stati Uniti, viene lasciata dalla madre, che ha problemi di droga e alcol, in affido, insieme a due sorelle e a un fratello.
Quando i nonni materni lo vengono a sapere, tre anni dopo, la prendono in casa con loro, insieme a una delle sorelle, la più piccola dei quattro, Adria. La vita ricomincia così, per Simone, in un sobborgo di Houston, in Texas, nel profondo Ovest USA, lì dove suo nonno Ron e la sua seconda moglie, Nellie Cayetano, originaria del Belize, la accudiranno, arrivando ad adottarla legalmente nel 2003.
Raccontare dei nonni di Simone Biles, di come abbiano deciso di prendersi cura della ragazza e di sua sorella, è più importante di quanto potrebbe sembrare. La ginnasta infatti ha più volte spiegato come non sarebbe mai stato possibile, senza la presenza dei suoi genitori adottivi, diventare ciò che è oggi, cioè a dire l’atleta più influente dello sport contemporaneo.“Non sarei dove sono oggi – ha raccontato recentemente Biles durante un episodio della serie Simone Vs. Herself – se non fosse arrivato il punto di svolta dell’adozione. Sarei ancora Simone Biles, ma probabilmente non la Simone Biles che tutti oggi conoscono. I miei genitori, Ronald e Nellie, sono tutto per me, e dovrò sempre ringraziarli per tutti i sacrifici fatti, sin dal primo giorno, per permettermi di vivere il mio sogno, per essere sempre stati presenti, per me, durante i momenti belli e nelle fasi più dure”.
L’incontro con fra Biles e la ginnastica, come tanti avvenimenti nell’esistenza di questa straordinaria ragazza, succede come se fosse stato disegnato dal destino. Da bambina infatti Simone è incontenibile: corre, salta, balla, non smette mai di muoversi. Ha una forza naturale, una grandissima energia, che si combinano a un’inusuale coraggio che la portano a mettersi costantemente alla prova.
Succede così che durante una gita scolastica, quando ha appena sei anni, vede delle ragazze più grandi allenarsi in palestra. Come se niente fosse, senza aver mai praticato alcun genere di ginnastica, comincia a imitarle: le viene tutto naturale.
Gli allenatori presenti intravedono le qualità della bambina e decidono di mandare una nota scritta ai genitori, suggerendo alla famiglia di iscrivere Simone a un gruppo di ginnastica, affinché possa allenarsi e praticare la disciplina in maniera regolare. Comincia così la carriera di Biles, presso la Bannon’s Gymnastix di Houston, con l’allenatrice Aimee Boorman.
La ragazzina mostra subito di avere un talento naturale per gli esercizi. La ginnastica, inoltre, riesce a incanalare nella giusta direzione il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, anche noto come ADHD, che fino a quel momento l’ha resa una bambina piena di energia, sì, ma anche molto irrequieta. La ginnastica artistica, invece, rappresenterà per Biles la perfetta valvola di sfogo per la sua elettricità naturale.
La strada verso il successo
Simon Biles fa la sua prima apparizione in una competizione nazionale all’American Classic del 2011 di Houston. Ha appena 14 anni e si classifica terza nella gara all-around e prima nel volteggio. Diventa chiaro a tutti che le sue qualità sono fuori dal comune, ma adesso è arrivato il momento di fare sul serio.
Simone, in accordo con i suoi genitori e con i tecnici decide così di lasciare la scuola, dedicandosi allo studio in maniera privata, a casa, e comincia ad allenarsi fino a otto ore al giorno, mettendo da parte praticamente qualsiasi altra cosa che non sia la ginnastica.
Le vittorie fioccano: terza alla trave, seconda negli esercizi a corpo libero e prima sia nel volteggio che nella gara all-around all’American Classic 2012. Dopo la vittoria nel volteggio agli USA Gymnastics National Championships viene convocata per la prima volta nella squadra nazionale juniores degli Stati Uniti, mancando di qualche mese la possibilità di competere per un posto nella squadra olimpica per Londra 2012: a 15 anni è ancora troppo piccola.
A livello internazionale fa immediatamente parlare di sé. Al Trofeo Città di Jesolo vince nel concorso generale, nel volteggio, nella trave e nel corpo libero e si ripete qualche settimana dopo a Chemnitz, in Germania.
Nel 2013 vince il campionato nazionale di ginnastica statunitense e riceve la prima chiamata nella squadra nazionale senior, con la quale, due mesi dopo, vince ad Anversa, in Belgio, i suoi primi campionati del mondo, classificandosi prima nel corpo libero, seconda nel volteggio e prima nel concorso generale: ha appena 16 anni.
Da lì in avanti la sua storia personale coinciderà con quella della ginnastica artistica. Biles, infatti, riscrive letteralmente i manuali della disciplina, creando un vero e proprio nuovo standard prestazionale nel suo sport. L’altezza dei suoi salti, la velocità delle sue capriole, la sicurezza dei suoi atterraggi, rendono i suoi esercizi qualcosa di mai visto.
Tutto il movimento della ginnastica deve aumentare il livello, per cercare di stare al suo passo. Biles aggiunge movimenti mai visti, salti mortali, composizioni che obbligano la federazione ad aggiungere nuovi livelli di valutazione degli esercizi: oggi sono addirittura cinque gli esercizi che portano il suo nome.
Il resto, come detto più volte, è già passato alla storia. Da aggiungere resta soltanto quello che succede fuori dai palazzetti, lontano dalle competizioni della ginnastica. E sì, perché Simone Biles, da atleta leggendaria, si è infatti trasformata, nel frattempo, in icona planetaria, e ci è riuscita non soltanto grazie a una carriera costellata da meravigliosi successi, ma anche mostrano la sua parte più fragile.
La scelta di non partecipare alle gare individuali delle Olimpiadi di Tokyo 2020, per distanziarsi dalla troppa pressione che avverte dentro di sé, racconta di una ragazza fortissima nella sue debolezze, in grado di rallentare mentre ognuno le chiede di andare ancora più veloce.
È lei stessa, meglio di qualsiasi giornalista, scrittrice, sportivo che abbia cercato di raccontarne le gesta, l’esistenza, la personalità, a spiegare meglio di ogni cosa di che pasta è fatta. “Non sono la prossima Usain Bolt, e nemmeno la prossima Michael Phelps: io sono la prima Simone Biles”.