Walter Sabatini, chi è il dirigente visionario del calcio
Ex calciatore di medio livello fra Serie B, C1 e qualche presenza in A, il vulcanico dirigente umbro è ormai assurto a vera e propria icona dello sport italiano, grazie a uno stile davvero unico. Scopriamone storia e segreti.
Walter Sabati, l’uomo dei miracoli
Daniele De Rossi, raccontando tempo fa un aneddoto su Walter Sabatini, all’epoca della sua esperienza come direttore sportivo della Roma, spiegava come, nonostante avesse un rapporto fraterno con il suo ds, non era mai andato a parlarci nel suo ufficio. Perché, spiegava l’attuale allenatore dei giallorossi, entrare in quella stanza era come aprire la porta di una zona fumatori in un aeroporto. Per questo De Rossi preferiva incontrare Sabatini all’aperto, parlarci passeggiando.
Quello delle sigarette non è un dettaglio, perché per anni Walter Sabatini ne ha fumate anche fino a sessanta al giorno, sino a quando, ammalatosi, dovette smettere. Le sue immagini più note lo vedono avvolto in una coltre di fumo costante, una descrizione che peraltro si sposa perfettamente con l’ideale solitario, romantico, furioso, di quello che è sempre stato una specie di dirigente acrobatico, il rappresentante più alto dell’idea del “prendere o lasciare”: niente compromessi.
Sabatini vive una carriera da calciatore che lo trasforma in un girovago delle categorie minori. Cambia nove club in undici anni e alla fine si ritira, anche a causa degli infortuni, prima del trentesimo compleanno. Tentata, senza fortuna, la carriera da allenatore, con risultati poco lusinghieri fra Perugia e Gubbio, a metà degli anni Novanta scopre la sua vocazione dirigenziale, che si sviluppa nelle giovanili della Lazio, prima del suo primo incarico da direttore sportivo, alla Triestina, nel 1994.La prima esperienza di rilievo arriva quattro anni dopo, nel ’98. Viene chiamato dall’Arezzo, in C1, con Serse Cosmi in panchina. Grazie a tante buone idee, seppur con poche risorse, mette insieme una squadra che al primo anno raggiunge la salvezza e al secondo quasi riesce, per nulla accreditata, a salire in serie B. Se ne va nel 2000, passa alcuni anni turbolenti nel Perugia di Gaucci (dove porta in squadra Primavera Gattuso, che poi però se ne andrà ai Rangers) e quindi, finalmente, ha la sua grande occasione, nella Lazio di Lotito.
Con i biancocelesti saranno quattro anni di esperienze importanti, culminati dalla qualificazione in Champions del 2007, raggiunta con Delio Rossi in panchina. Dal versante laziale di Roma si sposta quindi a Palermo, dove in un vulcanico rapporto col presidente Zamparini mette a segno alcuni dei colpi più iconici della sua storia, prima di andarsene, nell’inverno del 2010 e di firmare quindi, l’estate del 2011, con la Roma.
Quella fra Sabatini e la Roma è una storia che meriterebbe un pezzo a parte. Walter infatti vive l’esperienza giallorossa in maniera carnale, totale. Nei suoi cinque anni romani la squadra arrivano stagioni in cui la squadra si consolida ai vertici del campionato, con due secondi e un terzo posto, senza però mai vincere nulla.
Anche per questa mancanza di vittorie Sabatini andrà via, passando successivamente da incarichi molto meno profondi, come rapporto, con Sampdoria, Inter, Bologna, fino all’incredibile cavalcata del 7%. Nonostante, appunto, solo il 7% di possibilità di salvarsi, nel gennaio del 2022 Sabatini ricostruirà la rosa della Salernitana, e il tecnico Davide Nicola riuscirà poi a portare alla permanenza in Serie A. Proprio in virtù di quell’esperienza Sabatini, lo scorso dicembre, è tornato a Salerno, per raggiungere una salvezza che questa volta sembra però essere ancora più complicata.
Da Salah a Iturbe, il meglio e il peggio dei colpi di Sabatini
La lista dei talenti portati da Walter Sabatini nelle squadre di cui è stato dirigente è davvero infinita. Oltre ai nomi più famosi, andando a pescare nelle primissime esperienze da ds, scopriamo ad esempio un ventunenne Riccardo Zampagna, che poi farà un’ottima carriera fra A e B, portato a Trieste e preso dal Pontevecchio, una squadra dilettante umbra.
O ancora Fabio Bazzani, l’ariete che fra il 2003 e il 2004 metterà insieme persino tre gettoni in nazionale e che ad Arezzo fece 20 gol in 31 partite. Sabatini lo prelevò, da sconosciuto, dopo un’anonima stagione in serie C1, al Varese, dove aveva messo a segno appena 3 reti.
Certo non sono questi i colpi che si ricordano, quanto, piuttosto, capolavori come quello di Javier Pastore. Il trequartista argentino venne portato da Sabatini a Palermo nel 2009, pagato 7 milioni all’Huracán, e venne poi venduto, dopo due stagioni straordinarie, al Paris Saint-Germain, per quasi 45 milioni di euro, in uno dei primi colpi messi a segno dagli allora nuovi proprietari qatarioti.
E poi Allison, Kolarov, Pjanic, Salah, Lamela, Marquinhos, Ilicic, Kjaer, si potrebbe andare avanti per pagine raccontando dei tantissimi giocatori presi da Sabatini quasi sconosciuti e poi rivenduti a cifre altissime, generando plusvalenze straordinarie. Fino al flop forse più roboante, quello che a Sabatini davvero non è mai andato giù: i 24 milioni presi per strappare Iturbe al Verona, vincendo la concorrenza della Juventus.